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MORATTI DOUBLE FACE

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L’Inter stappa bottiglie di spumante per il 17° scudetto conquistato. Tra i più meritati, tra i meno memorabili. Rimarrà più per le esternazioni di Mourinho che per il gioco in campo (mediocre al massimo). Ma tanto basta per mandare in visibilio il suo presidente, al terzo (non quarto) successo di fila dopo anni di delusioni e fegati ingrossati. Chissà che preso dalla bolgia dei festeggiamenti Moratti non decida di pagare la multa di 1500 euro che il giudice di pace gli ha inflitto per cori razzisti a San Siro contro il Napoli un anno fa. Per ora si è rifiutato. Strano tipo Moratti: fa l’antirazzista quando si tratta di Balotelli, non quando la sua curva espone uno striscione sul Napoli “fogna d’Italia”; sostiene Emergency e sperpera fior di milioni in brocchi patentati; fustiga il Moggi che aveva avvicinato per ingaggiare; fa il petroliere ma dice di essere ecologista. In psicologia si chiamerebbe schizofrenia. Nel calcio profilo di un uomo vincente.

BORGHI FOLLI

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Sempre a proposito di arbitri, il Borghi ha totalizzato un guinness: ben 54 mesi di squalifica. Questo per una giornata di ordinaria follia, domenica scorsa nello spareggio contro il Corpolò. In palio il salto in Prima categoria. I riminesi si impongono 2 a 1 ai supplementari. Al termine succede il finimondo. Il dirigente che doveva “difendere” l’arbitro (in gergo, addetto all’arbitro) colpisce il guardialinee con un pugno (per fortuna che doveva fargli da scorta!): 2 anni di squalifica (un po’ pochini). Un giocatore spintona sempre il guardialinee, lo insulta e gli getta in faccia la maglietta: un anno (pochino anche qui). Altri due giocatori non sono da meno, sette mesi. Il presidente della squadra dice, “abbiamo sbagliato ma la colpa è tutta degli arbitri: erano in malafede”. La domanda ora è una: adesso questa gente cosa farà la domenica? Niente più calcio come valvola di sfogo (e di frustrazione). Povere mogli, adesso tocca a voi!

ABBASSO GLI ARBITRI

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Finale di Coppa Italia. Squadre inedite, quanto mediocri nello spettacolo offerto. Vince la Lazio ai rigori, perde un certo modo di intendere il calcio. Soprattutto in chi lo racconta. La telecronaca del duo Cerqueti-Bagni è l’emblema di quanto in basso sia caduto questo sport. Inizia la partita Campagnaro (Sampdoria) cerca di rifilare una gomitata a Foggia (Lazio): per il cronista è colpa dell’arbitro (Rosetti) che non vede il gesto e non espelle il giocatore. Campagnaro se la cava con “è un combattente”. Altri scontri a metà campo: la colpa è sempre dell’arbitro che non li sanziona nel giusto modo. Verso la fine la chicca: presunto rigore per la Lazio, Delio Rossi entra in campo (a partita in corso) di alcuni metri, i telecronisti sorridono per l’accaduto: ben gli sta all’arbitro che non ha sanzionato il presunto rigore. Di appellativi di inciviltà a Rossi, nessuna traccia. Un calcio che vive solo di cronache arbitrali è uno sport povero. I suoi cronisti ne sono lo specchio.

IL FASCINO DEL RIVOLUZIONARIO

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Merita di essere visto il film di Soderbergh dedicato al Che. Suddiviso in due pellicole (l’argentino e guerriglia), ho visto il secondo. Racconta il periodo più difficile di Guevara, quello della guerriglia in Bolivia, terminato con la sua morte. La bellezza del film sta nel non cadere nella scontata visione mitologica, classica figurina leggendaria divenuta addirittura gadget commerciale. Soderbergh dà una visione umana del personaggio, col suo carisma ma anche con le sue debolezze e la sua solitudine. Ne vien fuori un personaggio animato da forti ideali rivoluzionari e convinto assertore della guerriglia, incapace però di capire una popolazione contadina che di lotta non ne vuole sapere. L’appoggio dato dai contadini ai militari boliviani ne è l’emblema. Il fascino del Che, però, rimane intatto: poteva adagiarsi sugli allori e sui successi di Cuba, ha preferito una vita tutta dedita agli ideali. La storia ne annovera pochi di personaggi così.

RAZZISMO ALL’ITALIANA

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D’ora in poi andare allo stadio e urlare “sporco negro di merda” sarà più facile. L’importante è non farlo troppo spesso, sennò arriva la recidività. La sentenza dell’Alta Corte del Coni non dice proprio questo, la sostanza però non muta. La razzista-story è questa: pesantissimi cori contro Balotelli, un turno di squalifica al campo della Juve, e, con grande lezione di stile bianconero, ricorso della società. Risultato: le porte prima chiuse, ora vengono riaperte. Una sentenza sconvolgente. Che conferma ancora una volta il concetto di giustizia da azzeccagarbugli in Italia. Se un segnale forte lo si voleva dare, è arrivato: ma nella direzione opposta del buonsenso. Anche se era difficile aspettarsi qualcosa di buono da questo calcio che butta a mare la serie B (è nata la Premier italiana) per papparsi tutti i 900 milioni di euro dei diritti tv. D’altronde cosa vuole questo Treviso che fa un intero campionato con 16 milioni di euro, stipendio di un solo giocatore dell’Inter?

ADDIO ROTELLA

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Per fortuna il calcio non dimentica. Soprattutto chi ha indossato una maglia con onore e ora si trova discutere col proprio mister partite più celestiali. Nel match di ieri a Bologna, il Genoa non ha dimenticato Franco Rotella, ala destra della gestione Scoglio. Se n’è andato nei giorni scorsi a 42 anni, colpito da una leucemia. Non è un nome che ha lasciato chissà quale impronta nel calcio, eppure lo ricordo bene. Il Genoa giocava a Cesena, e quest’ala destra faceva scintille. Uno a fianco mi chiese chi era. Risposi: “Non mi sembra Ruotolo, non l’ho mai visto”. Scopro così che si chiamava Rotella. Il Genoa vinse una rete a zero, l’anno non me lo ricordo. Mi ricordo però la bella impressione di quel giocatore. Scomparso così prematuramente come altri gialloblù: Fabrizio Gorin, Andrea Fortunato, Gianluca Signorini. Ora sta indagando Guariniello. Chissà che non ci sia qualcosa a legarli, oltre alla maglia indossata.

FRANCO, IL MAGO

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È un personaggio che piace Franco Nero. La prima fila del San Biagio l’ha confermato: tutte (o quasi) donne cinquant’enni. Sensibili al coetaneo, compagno di numerose serate al cinema e alla tv, e al fascino di un uomo a cui non fa difetto l’amor proprio. A Cesena ha presentato il suo “Mario, il mago”. Girato in Ungheria racconta la storia vera di un paesino sconvolto nel 1990 dall’arrivo di un imprenditore italiano di scarpe che delocalizza la sua produzione. Le scarpe per un sammaurese hanno sempre un qualcosa di particolare. Qui si aggiunge dell’altro: il passaggio dal comunismo al capitalismo di una piccola comunità, che inizia a conoscere consumi, diversi modi di produrre e persone dalla cultura nuova. La follia finale della protagonista la dice lunga su quale sia stato lo sconvolgimento. È interessante notare che Nero poco si vede in Italia. Infatti ha raccontato di ricevere ovunque offerte, tranne da noi. Altro caso di fuga di talenti?

LA SPOSA TURCA

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Decisamente bello e forte nei contenuti “La sposa turca”, il film proiettato mercoledì scorso nella sala Gramsci nella rassegna sull’intercultura al femminile. Una storia ambientata in Germania (Amburgo), che ha per protagonisti due turchi: il 40enne Cahit, la 20enne Sibel. Due disadattati sociali che infatti si conoscono in un istituto di sopravvissuti al suicidio: lui vive solo in funzione di alcool e droga; lei non sopporta le rigide convenzioni turche della sua famiglia. Finiscono per sposarsi, anche se non si amano. Ma la storia e la convivenza finisce per farli incontrare per davvero: nel cuore e nello spazio (a Istambul). Orso d’Oro a Berlino nel 2004, è un film sul difficile modo di vivere in terra straniera. Non è una pellicola a sfondo sociale, bensì introspettivo. Racconta il male di vivere non esclusivo appannaggio dell’Occidente, testimonianza che tutto il mondo è paese anche nei suoi dolori.

BREVE FIACCO RITORNO

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È la prima volta che leggo un libro di Mignon Good Eberhart. E devo dire che non mi ha suscitato un grande entusiasmo. “ Breve ritorno ”, uno dei classici proposti in edicola da Repubblica, ha il limite della scontatezza. Della suspense a comando, incapace di suscitare quello scatto di interesse che per un romanzo giallo è vitale. La storia è quella di tre ragazze (due sorelle e una cugina voce narrante) felici nell’essersi rifatte una vita dopo la morte di Basil Hoult (marito di Alice, una delle due sorelle). Tranquillità e agiatezza economica scandiscono i loro giorni fino a quando non ricompare in vita colui che si pensava morto, appunto Basil. Si tratta in realtà di un “breve ritorno” perché dopo poche ore viene trovato morto a due passi da casa. Chi è l’assassino? Spuntano le ipotesi, la polizia indaga, gli intrighi amorosi si infittiscono. Insomma, il solito plot con un po’ di fiacca in più. Non certo degna del miglior giallo che si rispetti.

DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO

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Uno dei personaggi più pubblici del mondo può silurare qualcuno perché ha reso pubblico un qualcosa? Capita anche questo. E ancora una volta nella mitica Inghilterra. Anche se gli attori sono un italiano (Briatore) e un portoghese (Paulo Sousa). Il primo è il presidente dei Qeens Park Rangers, il secondo ne è stato l’allenatore. Fino a pochi giorni fa, prima di essere esonerato per «aver divulgato informazioni confidenziali e riservate», la motivazione. Che abbia rivelato qualcosa di segreto sulla Renault, o su presunti schemi? No. Sousa si è lamentato a voce alta perché la società ha ceduto l’attaccante Dexter Blackstock al Nottingham senza essere stato informato. Briatore – sei allenatori in due anni – gli ha ricordato che i panni sporchi si lavano in casa. Mica come quelli della Gregoracci, quelli sì rigorosamente pubblici. D’altronde vuoi mettere il completino col pizzo della bella Elisabetta con la tuta sudata di un Sousa qualsiasi?

AMNESIE INGLESI

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Mentre il mondo del calcio è unito nel levare alto il grido di dolore per l’abbandono di Adriano (perché poi compatirlo, mica glielo ha detto il dottore di giocare?), in Inghilterra hanno deciso di spararle grosse. Dimenticando aplomb e sportività di cui vanno fieri, un parlamentare europeo (Richard Corbett) ha raccolto 10mila firme. Nessun disegno di legge all’orizzonte ma la richiesta all’Uefa di consegnare al Leeds la Coppa delle Coppe del 1973. L’aveva vinta il Milan a Salonicco in una delle finali più brutte che si ricordino (1 a 0, gol di Chiarugi). Secondo il politico ci fu un arbitraggio a senso unico a favore del Milan, tale da far sospettare qualcosa di losco. Ma Corbett, suvvia, perché non sei andato ancora più indietro, magari al 1966, anno di vittoria mundial inglese grazie a un gol fantasma? E a Maradona cosa facciamo, gliela vogliamo tagliare quella mano dopo il Messico? Corbett è Laburista: che sia arrivata anche là la crisi della sinistra?

IL FASCINO DI ALESSIO

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Anche Cesena non ha saputo resistere al fascino di Alessio Boni. Il Caravaggio o il Puccini che tanto piace alle donne. Anche se oltre che bello è bravo. Un po’ come Kim Rossi Stewart. Al San Biagio per il Backstage Festival ha fatto il pieno. Ha parlato di come è diventato attore: faceva il piastrellista a Bergamo, non gli piaceva, vagava insoddisfatto tra una cosa e l’altra, finché a 22 anni è rimasto folgorato a teatro. Ma è parlando del linguaggio che ha dato il meglio: “il modo di parlare oggi cambia velocemente, ogni 6-7 anni. Gassman parlava bene nel ’64, oggi il suo linguaggio sarebbe anacronistico, dovrebbe essere aggiornato. Il problema è che la contemporaneità è troppo veloce, appena l’afferri ti scappa. Siamo bombardati da tante cose che hanno fatto sì che la soglia d’attenzione sia diversa”. E ancora: “Il Grande Fratello non è negativo in sé. Il problema è che c’è solo questo!”. Evvai Alessio.

LE ARGUZIE DI PERRY

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Interessante l’iniziativa di Repubblica che ha deciso di ripubblicare i primi gialli della collana Mondadori. Un’immersione nella buona lettura, sempre che il genere sia di gradimento. Di recente ho letto “Perry Mason e l’avversario leale” di Erle Stanley Gardner. Lo scrittore americano è l’inventore del celebre avvocato indagatore, reso famoso grazie a un telefilm di successo. La storia è semplice. Due sorelle (Margherita e Carlotta Faulkner) con un’azienda di vivaistica di fiori vengono insidiate dal loro principale concorrente (Arrigo Peavis), che non si fa scrupolo nel voler acquisire la loro catena di negozi. Peavis, sfruttando la debolezza nel gioco del marito di Carlotta e attraverso alcuni amici fidati, riesce ad avvicinarsi al pacchetto azionario di maggioranza dell’azienda Faulkner. Nel mezzo ovviamente c’è un omicidio, tanti indiziati e la risoluzione del problema grazie a Perry Mason. Una storia semplice ma non per questo una storia banale.

L’EUGENIO NAZIONALE

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Maglione verde, barba bianca accompagnata dal solito occhiale, incedere lento, estremamente ragionato. Eugenio Scalfari è un’autorità nazionale, Cesena ha risposto a dovere al Palazzo del Ridotto (a proposito, audio pessimo!). Doveva presentare il suo ultimo libro, “ L’uomo che non credeva in Dio ”, in realtà ha raccontato un po’ di tutto. Difficile non rimanere affascinati da una personalità che ha fatto la storia del giornalismo militante. Uno oggi preoccupato perché “l’opinione pubblica non esiste più”, e perché “è l’indifferenza che ammazza”. Aggiungendo, laconico: “oggi anche parte della sinistra è indifferente”. Ha ricordato i meriti del Pd di Veltroni – “ha raggiunto il 33% con un partito nato in pochissimo tempo, e che praticamente non esisteva” – lanciando una stoccata al nemico di sempre, sir Silvio, “ha l’adorazione della propria immagine”. Impossibile dargli torto.

AUGURI TRAP

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Il suo sacco da tempo porta con sé quel famoso gatto. Quello che gli ha donato sette vite come ai felini. Mister Trapattoni compie oggi 70 anni. Non li festeggia da pensionato, ma sulla panchina dell’Irlanda prossima avversaria dell’Italia. Un simbolo del calcio, accusato di strenuo difensivismo, paradossalmente tra i primi allenatori global del pianeta (10 scudetti vinti in quattro stati). Il suo Strunz ha fatto il giro del mondo, così come i fischi con le dita, e le sue celebri frasi (“Sia chiaro che questo discorso resta circonciso tra noi”). Malgrado abbia vinto tanto due i rammarici: la bruciante sconfitta ad Atene contro l’Amburgo nel 1983 (due anni dopo vinse a Bruxelles, ma quella fa storia a sé); il flop con la nazionale italiana, con l’arrivo dell’altra Corea. Per il resto una carriera internazionale da urlo: 1 coppa delle Coppe, 1 Campioni, 1 Intercontinentale, 3 Uefa. Scusate se è poco.