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La Terrazza

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Il bello di rivedere film che hanno fatto la storia del cinema, a distanza di anni, è il “qualcosa” che ancora oggi sanno trasmetterci. Mi è capitato con La Terrazza di Scola del 1980, visto ieri su Amazon Prime. È una pellicola celebre che racconta, in cinque episodi concatenati, la crisi di identità e di futuro di altrettante persone (tutti maschi ) alle prese con il tempo che passa.  C’è lo sceneggiatore in crisi di ispirazione che va in preda all’esaurimento nervoso (Trintignant); c’è il giornalista senza stimoli soppiantato da nuove leve in ascesa e in crisi coniugale per una moglie indipendente (Mastroianni); c’è un intellettuale che nella tv di Stato vede avanzare il vuoto di idee e il clientelismo senza che abbia un minimo moto d’orgoglio e di ribellione (Reggiani); c’è il produttore avanti con gli anni che si accorge della distanza di età dalla moglie giovane e in carriera (Tognazzi); c’è il comunista messo da parte dal partito che si infatua di una giovane con relativo senso

Miss Marx

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Merita di essere visto Miss Marx per la regia di Susanna Nicchiarelli, presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia. In sala all’Uci eravamo solo in 7, ma questo conta poco ai fini della qualità della pellicola. Conta più constatare come Karl Marx finito nel dimenticatoio, travolto nel fallimento dei regimi comunisti, stia riscuotendo un certo interesse nel cinema, come nel caso de “Il giovane Marx” uscito nel 2017. A cui si aggiunge il capitolo dedicato alla figlia Eleanor. La bellezza della pellicola sta nel miscelare sapientemente l’aspetto pubblico di Tussy (il suo appellativo) insieme a quello privato. Terza figlia dell’economista, a dispetto delle altre sorelle, porta avanti le battaglie socialiste del padre in una Inghilterra nel pieno della crescita industriale con relative ingiustizie sociali. Curiosa e appassionata, fece parlare un suo viaggio negli Stati Uniti a cui seguì un pamphlet sulla condizione degli operai. Di Eleanor si ricordano in particolare le campagne

Rolling Stone, su Summertime sbagli

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Non concordo con la stroncatura  di Marianna Tognini su  Summertime di Netflix  ( qui per vedere di cosa si tratta ). La rivista sbaglia perché si approccia in maniera manichea: bello-brutto. Le mezze misure non le ammette. L’errore è tutto qui.  Non concordo con una riviera d’autore raccontata da Fellini, Zurlini e Risi, e un’altra da filmetti come Rimini Rimini ( Rimini Rimini un anno dopo non lo cito per pudore). Mi dispiace, ma non ci sto. Tra i due estremi, così come nella vita, c’è sempre un terra di mezzo, ed è il caso di Summertime . Senza farla troppo filosofica, la serie non è altro che una storia di adolescenti per adolescenti, niente di più. È vero, la trama non eccelle per originalità ma il racconto dei giovincelli in una località turistica come Cesenatico nel pieno dell’estate è poi così diverso dalla realtà? Secondo me no, anzi è più realistico di tante inutili indagini sociologiche che ci invadono e nessuno legge. Le amicizie, gli amori, la musica, il mare… nelle lo

Wasp Network

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Merita di essere visto Wasp Network il film di Oliver Assayas uscito in questi giorni su Netflix. Presentato lo scorso anno al Festival del Cinema di Venezia, la storia si basa sulla mitizzata vicenda dei “cuban five”, cinque personaggi infiltrati dai castristi nelle organizzazioni eversive di esuli a Miami.  L’impero sovietico è crollato, la forte lobby con base nella città della Florida pensa sia giunto il momento di una spallata al regime comunista. Dà così inizio a una serie di azioni terroristiche per mettere in ginocchio il turismo, tra le principali voci della bilancia commerciale cubana, senza farsi scrupolo di trafficare con droga e arruolare mercenari per arrivare allo scopo. Non conoscevo la storia e neppure il film di cui devo ringraziare Il Venerdì di Repubblica che ha dedicato una intervista al regista (“Le spie che vennero dal caldo”). Evidenti le complicità del governo americano, molto sensibile al peso elettorale della lobby cubana negli States. Ma al di là

UN EROE BORGHESE

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Ieri sera La 7 ha mandato in onda il film di Michele Placido, “Un eroe borghese” (1995), dedicato alla figura di Giorgio Ambrosoli. Già l'aver scelto la prima serata per un film del genere è stato quasi un evento (della Rai non si hanno tracce: Rai 1 era occupata col Festival di Castrocaro!). Poi la data, trent'anni dalla morte dell'avvocato milanese (11 luglio 1979). Un pezzo di storia d'Italia. Meglio, di vergogna. Chiamato a liquidare le malefatte finanziarie di Michele Sindona, Ambrosoli non si lasciò intimidire da nessuno (governo compreso) tirando dritto per la sua strada, che coincideva con quella della giustizia. Al suo funerale nessuno del governo presenziò, solo esponenti della Banca d'Italia. Placido descrive bene la storia, ispirata dal libro di Corrado Stajano. Anche il governo, Andreotti in primis, ha avuto le sue colpe. Ecco, penso ad Andreotti che tutte le mattine va a messa e si inginocchia davanti al crocifisso e mi viene una gran voglia di ateismo

GENERAZIONE PRECARIA

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Se la televisione latita sul mondo reale – troppo pessimista e foriera di cattive notizie secondo il nostro primo ministro – a riportare un po’ luce sul mondo d’oggi ci pensa il cinema. Che da alcuni anni ha posto l’accento sul mondo del lavoro, e, più nello specifico, sul precariato. Per citarne un paio, Eugenio Cappuccio in “Volevo solo dormirle addosso” con Giorgio Pasotti, Paolo Virzì in “Tutta la vita davanti” con Sabrina Ferilli. Aggiungo “Generazione mille euro” di Massimo Venier. Qui l’argomento del lavoro viene trattato in maniera leggera, tanto è vero che la pellicola è stata catalogata tra le commedie. La problematica, però, è terribilmente attuale. Un laureato con dottorato, genietto in matematica, lavoratore precario con contratto di sei mesi nell’ufficio marketing di una grossa azienda. L’impossibilità di pianificare la vita, la strada sbarrata nell’università (avanza il nipote di un senatore). Cosa aggiungere? Nulla, se non farsi un sorrisetto per tirarsi su.

IL FASCINO DEL RIVOLUZIONARIO

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Merita di essere visto il film di Soderbergh dedicato al Che. Suddiviso in due pellicole (l’argentino e guerriglia), ho visto il secondo. Racconta il periodo più difficile di Guevara, quello della guerriglia in Bolivia, terminato con la sua morte. La bellezza del film sta nel non cadere nella scontata visione mitologica, classica figurina leggendaria divenuta addirittura gadget commerciale. Soderbergh dà una visione umana del personaggio, col suo carisma ma anche con le sue debolezze e la sua solitudine. Ne vien fuori un personaggio animato da forti ideali rivoluzionari e convinto assertore della guerriglia, incapace però di capire una popolazione contadina che di lotta non ne vuole sapere. L’appoggio dato dai contadini ai militari boliviani ne è l’emblema. Il fascino del Che, però, rimane intatto: poteva adagiarsi sugli allori e sui successi di Cuba, ha preferito una vita tutta dedita agli ideali. La storia ne annovera pochi di personaggi così.

FRANCO, IL MAGO

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È un personaggio che piace Franco Nero. La prima fila del San Biagio l’ha confermato: tutte (o quasi) donne cinquant’enni. Sensibili al coetaneo, compagno di numerose serate al cinema e alla tv, e al fascino di un uomo a cui non fa difetto l’amor proprio. A Cesena ha presentato il suo “Mario, il mago”. Girato in Ungheria racconta la storia vera di un paesino sconvolto nel 1990 dall’arrivo di un imprenditore italiano di scarpe che delocalizza la sua produzione. Le scarpe per un sammaurese hanno sempre un qualcosa di particolare. Qui si aggiunge dell’altro: il passaggio dal comunismo al capitalismo di una piccola comunità, che inizia a conoscere consumi, diversi modi di produrre e persone dalla cultura nuova. La follia finale della protagonista la dice lunga su quale sia stato lo sconvolgimento. È interessante notare che Nero poco si vede in Italia. Infatti ha raccontato di ricevere ovunque offerte, tranne da noi. Altro caso di fuga di talenti?

LA SPOSA TURCA

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Decisamente bello e forte nei contenuti “La sposa turca”, il film proiettato mercoledì scorso nella sala Gramsci nella rassegna sull’intercultura al femminile. Una storia ambientata in Germania (Amburgo), che ha per protagonisti due turchi: il 40enne Cahit, la 20enne Sibel. Due disadattati sociali che infatti si conoscono in un istituto di sopravvissuti al suicidio: lui vive solo in funzione di alcool e droga; lei non sopporta le rigide convenzioni turche della sua famiglia. Finiscono per sposarsi, anche se non si amano. Ma la storia e la convivenza finisce per farli incontrare per davvero: nel cuore e nello spazio (a Istambul). Orso d’Oro a Berlino nel 2004, è un film sul difficile modo di vivere in terra straniera. Non è una pellicola a sfondo sociale, bensì introspettivo. Racconta il male di vivere non esclusivo appannaggio dell’Occidente, testimonianza che tutto il mondo è paese anche nei suoi dolori.

IL FASCINO DI ALESSIO

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Anche Cesena non ha saputo resistere al fascino di Alessio Boni. Il Caravaggio o il Puccini che tanto piace alle donne. Anche se oltre che bello è bravo. Un po’ come Kim Rossi Stewart. Al San Biagio per il Backstage Festival ha fatto il pieno. Ha parlato di come è diventato attore: faceva il piastrellista a Bergamo, non gli piaceva, vagava insoddisfatto tra una cosa e l’altra, finché a 22 anni è rimasto folgorato a teatro. Ma è parlando del linguaggio che ha dato il meglio: “il modo di parlare oggi cambia velocemente, ogni 6-7 anni. Gassman parlava bene nel ’64, oggi il suo linguaggio sarebbe anacronistico, dovrebbe essere aggiornato. Il problema è che la contemporaneità è troppo veloce, appena l’afferri ti scappa. Siamo bombardati da tante cose che hanno fatto sì che la soglia d’attenzione sia diversa”. E ancora: “Il Grande Fratello non è negativo in sé. Il problema è che c’è solo questo!”. Evvai Alessio.

L’ANZIANO E IL SUO CANE

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La “Valigia dei sogni” su La 7 sabato scorso ha tirato fuori un’altra bella sorpresa cinematografica: Umberto D. (1952) per la regia di Vittorio De Sica. “Capolavoro del cinema neorealista” per Morandini, è un film sulla solitudine dell’anziano, che non arriva alla fine del mese, e che ha quale unico amico il proprio cane. Si chiama Flaik, Umberto D. fa di tutto per abbandonarlo, ma non ci riesce: è parte di lui. Il film quando uscì fu osteggiato dall’allora sottosegretario al cinema Giulio Andreotti con una celebre stroncatura: “i panni sporchi si lavano in casa”. Vietato raccontare la storia di un vecchio, tra l’altro ex funzionario di ministero, economicamente indigente. Un po’ come fa oggi il premier: a tutti raccomanda di sorridere, anche se la crisi impera. De Sica invece andò oltre (quanti registi oggi lo farebbero?), e prese quale protagonista un anziano borghese (Carlo Battisti) che attore non era. Memorabile la scena dell’elemosina davanti al Pantheon.

IL FEDERALE

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Uno dei pochi canali che ancora non ha abdicato nella programmazione dei film è La 7. Non solo continua a darli, addirittura lo fa in orari “accessibili”. Finanche il sabato con la bella iniziativa “La valigia dei sogni”, sul cinema italiano. Per esempio ieri sera c’è stato “Il Federale” per la regia di Luciano Salce con Ugo Tognazzi. Realizzato nel 1961 è uno dei primi film del dopoguerra a parlare del ventennio fascista. Lo fa sotto forma di commedia all’italiana, mischiando il riso alla riflessione. Non è un film di denuncia, né tanto meno documentarista, bensì di satira. D’altronde come non sorridere di fronte a un fascistello fanatico (Tognazzi) che corona il sogno di divenire federale proprio quando il fascismo cade. Come se Berlusconi venisse riconosciuto uno statista tutto tondo proprio in letto di morte. Dimenticavo, qui siamo alla fantascienza pura.

L'ANTIGONE MODERNA

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Le leggi, l'ordine, le regole, al di sopra di tutto. Addirittura prima dell'uomo stesso. Decisamente bella la pellicola “I cannibali” per la regia di Liliana Cavani. È stata presentata al San Biagio a Cesena in chiusura della rassegna sul '68. Era presente la regista, piuttosto scorbutica e scontrosa. Irritata alle domande. Non so se per timidezza o per carattere (propendo per la seconda). So invece che “I cannibali” è stato un film bellissimo. Realizzato nel 1969, indirettamente parla delle rivolte dell'anno prima. La storia: una città sommersa di cadaveri di giovani ribelli, lasciati marcire in strada, esempio “educativo” per tutta la popolazione. Un conformismo di indifferenza generale, spezzato dalla giovane Antigone (chiaro riferimento a Sofocle), decisa a dare una degna sepoltura al fratello. Tra le tante tragedie, il film si chiude con una speranza. Musiche di Morricone, notevole Tomas Millian.

LE INVASIONI BARBARICHE

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Decisamente bello il film “Le invasioni barbariche” per la regia di Denys Arcand. Premio Oscar quale miglior film straniero nel 2003, è stato riproposto alcune sere fa in televisione, ovviamente in orario impossibile (e quindi, per forza di cose, da registrare). La storia si svolge a Montreal, ed è quella di un professore cinquant’enne in punto di morte. Donnaiolo, socialista, in polemica col mondo e coi figli. Grazie a questi trascorre gli ultimi giorni di vita insieme agli amici, con cui ha condiviso migliaia di avventure. Scopriamo così una generazione che ha abbracciato tutte (o quasi) le ideologie di sinistra (marxismo, leninismo, maoismo…) per ritrovarsi delusa, dentro una società occidentale senza Dio e in pieno sgretolamento. Invasa dei barbari, impersonati in un neoliberismo selvaggio e guerrafondaio. Evidente la critica ai vicini americani (il film è canadese), conquistatori del mondo.

UOMINI O CAPORALI?

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Lunedì sera alla televisione, ovviamente su La 7 (uno dei pochi canali che ancora dà film), in prima serata è andato in onda il film di Camillo Mastrocinque, “Siamo uomini o caporali?”. Pellicola famosa, del 1955. Celebre per un grande Totò che divide gli uomini in due categorie: quelli che faticano (gli uomini), quelli che comandano e quindi fanno faticare (i caporali). Sono passati cinquant’anni e quella divisione è ancora valida. Anzi, oggi sembra ancora più accentuata. Meglio ancora, affinata: non più solo quelli che faticano e quelli no, bensì quelli che guadagnano tanto e quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese. Mai come in questi ultimi decenni si è verificata una forbice così accentuata tra gli stipendi dei quadri alti (dirigenti) e di quelli medio-bassi. E’ la legge del mercato che vige, si dice. Ma com’è possibile che ciò sia avvenuto nello Stato che ospita l’organizzazione sindacale più potente d’Europa? Misteri d’Italia.