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Visualizzazione dei post da ottobre, 2011

Artusi e quell'odore di chiuso

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Come cambiano i tempi. Siamo alla fine dell’Ottocento, c’è un personaggio che si è fatto una posizione economica che gli consente di non lavorare più e di dedicarsi all’hobby preferito: la cucina. Per i più è ancora un signor nessuno, romagnolo d’origine, vuole pubblicare un libro-raccolta di ricette, anche se non trova un editore, ed è costretto a cavarsi di tasca propria i soldi per stamparlo. Oggi, a cent’anni dalla sua morte, il personaggio è venerato da tutti, mette insieme mondo accademico e gusti popolari, ed è elevato al rango di padre della cucina italiana. Strana parabola, quella dell’Artusi. Fisico imponente, baffi a manubrio, scapolo sino all’età di 90 anni. Gastronomo per passione, insieme alla sua fedelissima Marietta, la governante che l’ha accompagnato lungo il corso della sua vita. Cultore delle lettere, con due pubblicazioni poco considerate dalla critica. E soprattutto, investigatore. Proprio così. Era il tassello che mancava nel variegato puzzle delle definizioni a

Il delitto etico di Harvey Garrard

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Guardando all’attuale situazione e alla caduta dell’etica pubblica e privata, può far riflettere anche un piccolo libro come “ Il delitto di Harvey Garrard ”, scritto dal giallista inglese Oppenheim negli anni ’30. Un giovane aristocratico avvezzo alla bella vita, Garrard, si trova sulle spalle l’azienda di famiglia, che lascia in altre mani sino al giorno nel quale se la ritrova sul lastrico. Come fare per risollevarne le sorti? Prendere illegalmente dei soldi, sottratti a una persona morta, quale prestito d’onore, e fare della speculazione finanziaria. In gioco c’è un’azienda da salvare, posti di lavoro da difendere, una tradizione aziendale di decenni da onorare. Oppenheim ci dà prova di un personaggio che pur utilizzando mezzi poco leciti, nell’insieme appare come un eroe positivo. In fondo Garrard quando fa qualcosa d’illecito ne sente il peso della coscienza, sia individuale (la sua etica) sia sociale (lo scandalo del contesto). Proprio il contrario di oggi, dove etica pubblica

Abatino

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Da giovani ingenui pensavamo che si trattasse di un (piccino) allievo di Sant’Antonio Abate, eremita in qualche sperduto posto della terra. E invece, altro che luogo sperduto, l’abatino se ne stava nei moderni templi del Novecento, a calciar palloni, disegnando parabole ad effetto e tocchi di genio. Amato dalle folle, ma inviso al patriarca del giornalismo sportivo, Gianni Brera, che ne rimarcava l’inadeguatezza della razza italiota al gioco da esteti. Siamo inferiori di fisico?, e allora adeguiamoci al difensivismo opportunista, sosteneva Giuan. Catenacci e contropiedi a go-go, per classe e tecnica meglio rivolgersi altrove. E chi era stato folgorato da una madre natura che gli aveva offerto un paio di piedi buoni e il velluto nelle idee, beh, erano cavoli suoi, aveva semplicemente sbagliato paese. L’altro Gianni d’Italia, Rivera, ne ha saputo qualcosa, sempre ferocemente criticato dal Giuan padano. Troppo lezioso, troppo poco avvezzo al sudore, in una parola… abatino. Un commedia uma