Artusi e quell'odore di chiuso


Come cambiano i tempi. Siamo alla fine dell’Ottocento, c’è un personaggio che si è fatto una posizione economica che gli consente di non lavorare più e di dedicarsi all’hobby preferito: la cucina. Per i più è ancora un signor nessuno, romagnolo d’origine, vuole pubblicare un libro-raccolta di ricette, anche se non trova un editore, ed è costretto a cavarsi di tasca propria i soldi per stamparlo. Oggi, a cent’anni dalla sua morte, il personaggio è venerato da tutti, mette insieme mondo accademico e gusti popolari, ed è elevato al rango di padre della cucina italiana. Strana parabola, quella dell’Artusi. Fisico imponente, baffi a manubrio, scapolo sino all’età di 90 anni. Gastronomo per passione, insieme alla sua fedelissima Marietta, la governante che l’ha accompagnato lungo il corso della sua vita. Cultore delle lettere, con due pubblicazioni poco considerate dalla critica. E soprattutto, investigatore. Proprio così. Era il tassello che mancava nel variegato puzzle delle definizioni a lui dedicate. A vestirgli questi insoliti panni ci ha pensato lo scrittore Marco Mavaldi, in “Odore di Chiuso” (Sellerio, 2011, pp. 200, euro 13,00). Un romanzo ambientato nella Toscana di fine Ottocento, quando il nome di Artusi veniva guardato con una certa diffidenza negli imponenti castelli nobiliari. Impossibile per i baroni accettare un personaggio che si sporcava le mani scrivendo ricette, raccolte in molte regioni d’Italia (chissà cosa avrebbero pensato della Parodi di oggi). Anche perché Artusi aveva dato dignità alla cultura gastronomica del mondo borghese, mal accettata dalle corti aristocratiche, ancorate all’universo francese. E infatti quando Artusi arriva nella fortezza di Roccapendente, viene accolto da un misto di diffidenza accompagnato da quella curiosità che si riserva ai personaggi bizzarri. Gravato per di più dalla colpa dell’origine romagnola, il cui stereotipo in quegli anni, la etichettava come “gente rozza che pensa solo a mangiare, lavorare e accumular sostanze”. Due omicidi nel castello e il particolare intuito dell’Artusi faranno cambiare idea a tanti. E quell’odore di chiuso, specchio di una società nobiliare stantia nel suo universo, finirà per essere spazzato dagli eventi. ("Artusi e quell'odore di chiuso", Gazzetta del Rubicone, ottobre 2011)

Commenti

Post popolari in questo blog

I milanesi perbene di Scerbanenco ammazzano il sabato

L’ultimo rigore di Faruk, Riva

Scala, Augusto

Le canaglie, Carotenuto