L’ultimo rigore di Faruk, Riva

L’ultimo rigore della Jugoslavia, Romagna Gazzette dicembre 2020 


Racconta l’autore che incontrando per caso su un aereo Diego Maradona e avvicinato per una intervista, il calciatore gli rispose: “Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”. Fortuna ha voluto che Gigi Riva - non “rombo di tuono” ma il giornalista adottato da Santarcangelo di Romagna - abbia disatteso il consiglio del campione e scritto un libro che non solo merita di essere letto ma di finire bene in vista nella propria libreria personale.

L’ultimo rigore di Faruk” (Sellerio editore) è decisamente un volume da annoverare tra i più belli degli ultimi tempi, un po’ perché è scritto come un romanzo, un po’ perché mette insieme due tematiche affrontate sì da tanti ma da un’angolazione diversa: calcio e geopolitica. In genere quando i due temi vengono affiancati si parla di dittature, di regimi dispotici che utilizzano lo sport quale leva di propaganda, dai regimi fascisti primi a farlo, a quelli comunisti dell’ex blocco sovietico. Riva la prende da un’angolazione differente e scandaglia l’esasperato nazionalismo che ha portato al disfacimento della Jugoslavia, patria ricca di campioni dello sport a palla rimbalzante (calcio, basket, pallavolo).

“Una storia di calcio e di guerra”, recita il sottotitolo, ed è proprio così: la contraddizione di una nazionale che va ai Mondiali di Italia ’90 sotto un’unica bandiera, ma in un contesto sociale e politico interno volto al disfacimento. Morto il collante carismatico di Tito si fanno avanti le rivendicazioni nazionali di un territorio dalle tante sfaccettature e culture, in un tessuto storico più propenso alle armi anziché alla mediazione della politica. “Nei Balcani lo sport come la guerra non è una metafora. La guerra è prosecuzione dello sport con altri mezzi”, scrive l’autore del libro.

La storia che narra Riva è quella di Faruk Hadzibegic, non un fuoriclasse ma un terzino campione, a cui spetterà l’ultimo rigore nel quarto di finale mondiale contro l’Argentina. Il tiro dal dischetto è il sogno di un gol che potrebbe cambiare il corso della storia. Le cose non andranno così con l’evidenza che non sarà quel rigore sbagliato a determinare le sorti di uno Stato già morto. Tuttavia i racconti servono anche per dare l’illusione (o la speranza?) di una trama diversa delle cose. Un po’ come si faceva nell’antica Grecia quando in occasione delle Olimpiadi si fermavano le guerre. A un Adriatico di distanza da noi purtroppo la guerra è andata avanti e ci ha lasciato in eredità ben sette stati (Slovenia, Serbia, Croazia, Bosnia, Macedonia, Montenegro, Kosovo) e quasi duecentomila morti in battaglia. Ma ne valeva la pena?




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