Che bello Bordelli
Confesso di avere un debole per Franco Bordelli, il commissario nato dalla penna di Marco Vichi. La scintilla è scoccata sin dal primo romanzo, “Il commissario Bordelli”, letto casualmente una quindicina d’anni fa. Da allora non ho fatto altro che proseguire di volume in volume senza una logica apparente. L’ultimo è di queste festività natalizie, “L’anno dei misteri”, letto in ebook e ambientato nel 1969.
In un genere poliziesco contrassegnato dall’hard boiled,
fatto di duri e violenza spesso tendente al pulp, Vichi ha scelto la strada più
soft, giocando sulla psicologia del protagonista nel contesto di una Firenze
anni ’60 tra ricostruzione, proteste giovanili ed eventi cronaca (l’esondazione
dell’Arno la più eclatante).
Bordelli è un personaggio della strada che fa una chiara
scelta a favore degli svantaggiati. Per amici ha una ex prostituta sua
confidente e suo rifugio, senza rapporti intimi. Un ex scassinatore (Ennio) a
cui chiede favori per indagini di polizia. Un geniale inventore dalla cultura sopraffina
(Dante), uno squartatore di cadaveri (Diotivede), un pupillo sardo di poche
parole in cui si specchia per capacità investigativa (Piras), un ex agente dei
servizi segreti preso in prestito dai romanzi di Leonardo Gori (Arcieri).
Bordelli ha un alto senso della giustizia al punto da non
lesinare l’illegalità quando gli strumenti democratici non bastano. Ama le
caloriche pietanze di Totò da gustarsi sempre nel calore della cucina e
accompagnate da ottimo vino (“triste cenare davanti a un astemio”), e si
rifugia in collina in una casa isolata abitata insieme a un anarchico cane,
Blisk. Poi le camminate per assaporare “la bella solitudine che si può provare
nei boschi, una solitudine abbellita da una confortante ragnatela di affetti”. Ha
una sessantina d’anni ed è innamorato di una ragazza che non ne ha neanche la
metà.
Vichi non rinuncia a dipingere il contesto nel quale
avvengono le sue storie. Sa che è questa l’essenza del giallo italiano rispetto
alla scuola anglosassone. La sua con Bordelli però non è una denuncia al
sistema ma un macrocosmo (macro perché di città si tratta) nel quale convivono
il bene e il male. La presa d’atto di una società che neppure la recente guerra
è riuscita a rendere migliore. Gli anticorpi non stanno solo nel personale
senso della legge, ma anche in qualcos’altro che è parte di noi: l’amicizia, il
sistema di relazioni personali. Aristotele con il suo “l’uomo è un animale
sociale” l’aveva scritto in cinque parole, Vichi ci ha costruito storie.
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