Un’ultima stagione da esordienti, Cavina
Ho riletto con molto piacere il libro di Cristiano Cavina, “Un’ultima stagione da esordienti” (Marcos Y Marcos). In un momento come questo penso sia un toccasana per chi ama il calcio. Al di là degli interessi economici che muove, il calcio è soprattutto partecipazione condivisa, un’emozione che oggi pare venire a meno (almeno per me) per la desolazione degli stadi vuoti unita al quotidiano degli obitori pieni.
La storia raccontata da Cavina è come un ritorno alle
origini del pallone. Ai campetti fai da te, alle storie di paese con personaggi
caratteristici che affollavano lo stadio nel fine settimana. La partita del
sabato era un rito collettivo che univa la comunità, anche se in campo
scendevano dei ragazzini. I tremila abitanti di Casola Valsenio vedevano nelle
sorti della squadra un momento di identificazione di gruppo in paesi dove ci si
conosceva tutti e le alternative erano poche. Nell’Italia della boria degli
anni ’80 del terziario avanzato, c’erano ancora queste sacche di paese per
nulla scalfite dagli echi di paninari e yuppie.
Un romanzo come questo lo può capire appieno chi ha
vissuto storie simili, chi ha avuto la fortuna di infine partite in strada, un
solo paio di scarpini Valsport (Pantoffola d’oro era da ceti medi, le Adidas per
figli di papà), le maglie con i numeri cuciti e spesso traballanti, una
selezione naturale da fare paura: giocavano solo i capaci, gli altri si
orientavano verso altre discipline (oggi per giocare si paga, quindi tutti in
campo sennò tolgo mio figlio dalla squadra).
Poi allenatori mitici. Raramente i genitori
interloquivano con loro. Nessuno si azzardava a mettere becco nelle scelte
tecniche. Come il mister descritto da Cavina, poche parole ma incisive, il
linguaggio per parabole chiare intese da tutti (“culo stretto” e “toccata”), l’inglesismo
era da stranieri, il bar punto di ritrovo nella partita a maraffa.
È una fortuna avere avuto allenatori simili, vera scuola
di vita formativa del carattere. È un modello impensabile ai tempi d’oggi, per
il sovraffollamento di genitori che accorrono al campo a vedere il campioncino
in erba, eppure fino agli anni ’80 e inizio ’90 le cose andavano diversamente.
“Eravamo affamati del pallone. Gli davamo la caccia, come
predatori. Eravamo nati per quello. Nell’ecosistema dei campionati giovanili,
eravamo in cima alla catena alimentare”. Non solo a Casola era così, anche in
tanti paesi di pianura le cose non erano poi così diverse.
Bravo Cavina a raccontarci quel campionato vinto con gli
Esordienti nel 1986. Mi ha portato alla mente quando arrivai secondo nel 1979
(non sono certo dell’anno) con i Pulcini della Sammaurese. Pareva l’inizio di
una folgorante carriera e invece mi ritrovo qui a scrivere dell’unica vittoria negli
anni giovanili…
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