La rivoluzione di Cruyff
Romagna Gazzette, Aprile 2017
C’è chi la rivoluzione
l’ha fatta in campo, palla al piede, idee al seguito. E chi seduto su una
panchina, lavagna d’ordinanza, filosofia di collettivo. Poche volte la stessa
persona è riuscita a fare entrambe le cose. Prendiamo Maradona e Pelè: fenomeni
in campo, ma solo lì. Prendiamo Sacchi: rivoluzionario sì come mister, ma più
che un calciatore è stato un calzolaio (Fusignano un tempo eccelleva in
questo). Oppure prendiamo Beckenbauer, grande in campo e vincitore in panchina,
però tutt’altro che rivoluzionario, anzi persino conservatore a guardar la
pochezza di gioco della sua Germania vincitrice al Mondiale del ’90. Uno dei
pochissimi innovatori in tutto è stato Johan Cruyff, “l’unico che rimanendo
borghese ha fatto la rivoluzione due volte, in campo e in panchina, come
calciatore e come tecnico, con i piedi e con la testa” (Federico Buffa e Carlo
Pizzigoni). È passato un anno dalla sua scomparsa, le sue idee sono rimaste,
così come la sua vita descritta nella bellissima autobiografia “Johann
Cruyff. La mia rivoluzione” (Bompiani, 2016, euro 17). Un libro che non
fa sconti a sé stesso e non nasconde i momenti bui (l’avere perso tanti soldi
in un allevamento di maiali), e che racconta la storia di uno dei personaggi che
più di tutti ha dato un “pensiero” al gioco del pallone. È “l’idea del calcio”
alla base del suo modo di intendere il football, il risultato viene dopo e di
conseguenza. Il celebre calcio totale che ha fatto epoca, secondo Cruyff è il
risultato di una “combinazione di talento individuale e disciplina di gruppo”. Una
rivoluzione che ha interessato una generazioni di campioni, prima con la maglia
dell’Ajax sotto la guida di Jany Van der Veen e Rinus Michels (“le figure che
mi influenzarono maggiormente”), poi con la nazionale arancione sino alla
finale dei Mondiali del 1974 a Monaco. Chiuso un ciclo in Olanda se n’è poi
aperto un altro in Spagna, nell’odiato Barcellona inviso al generale Franco (“Son
un figlio dell’Ajax e negli anni mi sono innamorato del Barcellona”). Anche qui
vittorie, e l’impronta di un modello che ha cresciuto un figlioccio come
Guardiola. Chiudiamo con le parole di Mario Sconcerti, che dicono tutto: “Cruyff
è stato il più grande al mondo nel suo essere parte di un progetto, di una
costruzione. Non è mai stato un Individuo, è sempre stato parte della squadra”.
Più chiaro di così…
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