Vino bio in crescita smisurata
“Vino bio in crescita smisurata”, Corriere Romagna 14
gennaio 2018
Da brutto anatroccolo bistrattato a cigno sopra
i cieli più tersi. Non conosce mezze vie il vino biologico, i cui numeri di
crescita farebbero invidia a qualsiasi indice di ricerca statistico: le
superfici vitate negli ultimi due anni sono cresciute del 20%, il settore in
valore negli ultimi dieci è salito del 125%. Eppure non tutto quadra. A dirlo è
l’enologa Marisa Fontana, nel convegno “Dal mio al bio, vino e sostenibilità”, alla
Malatestiana nell’ambito del Romagna Wine Festival, moderato da Maurizio Magni
di PrimaPagina. “Nella nostra regione la propensione al bio conosce alti e
bassi, molto spesso coincidenti con i finanziamenti per la riconversione delle
superfici. Ciò pone una domanda: in quanti credono realmente al bio?”.
Gli fa eco Ruenza Santandrea, coordinatrice del vino dell’alleanza delle cooperative: “Le viticultura biologica è quella certificata da un ente terzo. I controlli devono essere rigidi”. Santandrea allarga lo sguardo: “I nostri vini sono frutto della ricerca degli ultimi 20 anni. Oggi c’è una tendenza a un rifiuto della ricerca e della scienza. Ciò va combattuto anche per la sicurezza alimentare. Purtroppo oggi c’è la convinzione che tutto ciò che è naturale è buono e sano. Non è così, su questi temi non ci si può improvvisare”. Concorda Adamo Rombolà dell’Università di Bologna che ha parlato della necessità di “dialogo tra il sapere contadino e ricerca scientifica”.
Gli fa eco Ruenza Santandrea, coordinatrice del vino dell’alleanza delle cooperative: “Le viticultura biologica è quella certificata da un ente terzo. I controlli devono essere rigidi”. Santandrea allarga lo sguardo: “I nostri vini sono frutto della ricerca degli ultimi 20 anni. Oggi c’è una tendenza a un rifiuto della ricerca e della scienza. Ciò va combattuto anche per la sicurezza alimentare. Purtroppo oggi c’è la convinzione che tutto ciò che è naturale è buono e sano. Non è così, su questi temi non ci si può improvvisare”. Concorda Adamo Rombolà dell’Università di Bologna che ha parlato della necessità di “dialogo tra il sapere contadino e ricerca scientifica”.
Poi c’è la questione dei canali di vendita, grande
distribuzione in primis, 70% per il vino. “Il vino bio ha poca riconoscibilità
nella Gdo, rispetto ad altri prodotti come l’ortofrutta – afferma Sergio Soavi,
responsabile Gdo Cantina del Cerro – Il rischio oggi è quello di banalizzare il
biologico e farne uno slogan o una moda. Il vino è un prodotto agricolo, non
una commodity: è una relazione che richiede consapevolezza”. E se l’enologo
Marco Lucchi ha parlato di bio come “valore aggiunto economico, ecologico e
sociale”, Filiberto Mazzanti del Consorzio Vini di Romagna ha sottolineato la
necessità di una “maggiore riconoscibilità di territorio come Romagna al di
fuori dei confini”.
E dall’Alto Adige ha raccontato l’esperienza della sua
cantina Thomas Niedermayr di Maso Gardeberg impegnata sui vitigni resistenti.
“Siamo partiti nel 1994, su 5 ettari di superficie, il 95% della produzione
attuale sono vini piwi”. Sostenibilità in campagna significa anche sicurezza
sul lavoro. “Nel primi 6 mesi di quest’anno sono stati 199 gli incidenti
(+3.5%), che hanno causato 90 morti, in crescita del 7 – ha detto Luca Casadei
per il Consorzio Piwi – In campagna si muore più che in autostrada”.
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