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L’EUGENIO NAZIONALE

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Maglione verde, barba bianca accompagnata dal solito occhiale, incedere lento, estremamente ragionato. Eugenio Scalfari è un’autorità nazionale, Cesena ha risposto a dovere al Palazzo del Ridotto (a proposito, audio pessimo!). Doveva presentare il suo ultimo libro, “ L’uomo che non credeva in Dio ”, in realtà ha raccontato un po’ di tutto. Difficile non rimanere affascinati da una personalità che ha fatto la storia del giornalismo militante. Uno oggi preoccupato perché “l’opinione pubblica non esiste più”, e perché “è l’indifferenza che ammazza”. Aggiungendo, laconico: “oggi anche parte della sinistra è indifferente”. Ha ricordato i meriti del Pd di Veltroni – “ha raggiunto il 33% con un partito nato in pochissimo tempo, e che praticamente non esisteva” – lanciando una stoccata al nemico di sempre, sir Silvio, “ha l’adorazione della propria immagine”. Impossibile dargli torto.

IL DIVO HA FATTO NOVANTA

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Ha compiuto oggi la bellezza di 90 anni. E’ Giulio Andreotti. Il giornalista, Massimo Franco, gli ha dedicato un libro che ho finito di leggere da poco: “ Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un’epoca ” (Mondadori, 2008). Come racconta Franco, Andreotti è un sopravvissuto: a due guerre mondiali, sette papi, monarchia, fascismo, Prima e Seconda Repubblica. E’ stato un tutt’uno col potere: sette volte presidente del consiglio, ha ricoperto svariati ministeri (Esteri, Difesa, Finanze, Tesoro…). Il libro svela il suo lato umano. Finito di leggerlo, però, non mi ha fugato il dubbio di fondo. Il suo doppio volto: accusato di pesantissime colpe (la sentenza della Cassazione non lo scagiona del tutto dal reato di mafia) e amico di strani figuri (Lima, Sindona), è stato il delfino di De Gasperi, ha conosciuto papi, leader mondiali e ha guidato l’Italia per quasi cinquat’anni. Ha ragione Beppe Grillo: di lui si saprà qualcosa solo quando sarà aperta la sua scatola nera.

IL COMANDANTE DI VARESI

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Una rapina in un bancomat. Un morto trovato lungo il Po. Un ex comandante partigiano, trovato anch’egli morto in casa, dimenticato da tutti. Tre fatti apparentemente senza collegamento. E invece uniti da un comune filo. A tracciarlo è stato il giornalista Valerio Varesi nel romanzo “ La casa del comandante ” (Frassinelli, 2008, pp. 280), nuova avventura del commissario Soneri. Un commissario salito agli onori delle cronache grazie al serial tv interpretato da Luca Barbareschi e Natasha Stefanenko. Non male il romanzo di Varesi: più thriller poliziesco, anziché giallo. Soprattutto nell’amalgamare la storia con il paesaggio, quello della Bassa emiliana, contraddistinto dal lento fluire del Po. Se non ci fosse di mezzo quel fiume parrebbe di essere di fronte a un romanzo di Simenon, tanto sono cupe le atmosfere, nebbiosi i paesaggi. Nella storia non mancano alcuni riferimenti all’oggi, come l’avversione per lo straniero e il modo ribelle di leggere la società attuale.

OUTLET ITALIA

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L’outlet sembra andare di moda. Sta per svendita di un prodotto commerciale. Il giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, gli ha dedicato un libro: “Outlet Italia” (Mondadori, 208). Un libro illuminante. Alcuni stralci dell’introduzione. “Alcuni outlet sono centri commerciali di nuova generazione, che stanno sostituendo le piazze e i paesi come luogo di incontro; non a caso li fanno come paesi, finti ovviamente”. Ancora: “La svendita delle relazioni tra le persone, il degrado dei rapporti umani, è il fenomeno più importante ma anche il più sottovalutato dell’Italia di oggi. L’outlet segna il trasferimento della vita fuori dai luoghi di sempre, il centro storico, il paese, la chiesa, lo stadio, il cinema, la piazza; e mentre trasforma il centro delle città in deserto, porta i nuovi italiani nelle periferie, nelle multisala, nei parcheggi, nelle vecchie fabbriche dismesse, nei bowling, negli spacci aziendali, nei centri commerciali”.

LA DACIA ELEGANTE

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Ieri sera nel parco Panzini di Bellaria Dacia Maraini ha presentato il suo ultimo libro, “ Il treno dell’ultima notte ” (Rizzoli, 2008). Già il posto meritava di suo: una piana a luci soffuse, un piccolo palco non invadente, anzi invitante, e sullo sfondo a sfoggiare la storica Casa rossa di Alfredo Panzini. Poi l’autrice, davvero brava: colloquiale, mai una parola fuori posto, sempre a chiudere con un “grazie della sua domanda” nel dialogo col pubblico. Sarà per la saggezza maturata nel corso degli anni, sarà per uno stile che le è connaturato. Quello che però mi ha colpito di più è stata una certa eleganza della ragione. Trasferita nel suo racconto del libro, che narra la storia di una ragazza (Amara) sulle tracce di un vecchio amico d’infanzia internato in un campo di concentramento. Si ritrova così alle prese con un passato scomodo, il totalitarismo nazista, e un presente altrettanto da incubo, l’altro totalitarismo, quello comunista, con i tank sovietici che invadono Budapest nel