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ADDIO ROTELLA

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Per fortuna il calcio non dimentica. Soprattutto chi ha indossato una maglia con onore e ora si trova discutere col proprio mister partite più celestiali. Nel match di ieri a Bologna, il Genoa non ha dimenticato Franco Rotella, ala destra della gestione Scoglio. Se n’è andato nei giorni scorsi a 42 anni, colpito da una leucemia. Non è un nome che ha lasciato chissà quale impronta nel calcio, eppure lo ricordo bene. Il Genoa giocava a Cesena, e quest’ala destra faceva scintille. Uno a fianco mi chiese chi era. Risposi: “Non mi sembra Ruotolo, non l’ho mai visto”. Scopro così che si chiamava Rotella. Il Genoa vinse una rete a zero, l’anno non me lo ricordo. Mi ricordo però la bella impressione di quel giocatore. Scomparso così prematuramente come altri gialloblù: Fabrizio Gorin, Andrea Fortunato, Gianluca Signorini. Ora sta indagando Guariniello. Chissà che non ci sia qualcosa a legarli, oltre alla maglia indossata.

FRANCO, IL MAGO

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È un personaggio che piace Franco Nero. La prima fila del San Biagio l’ha confermato: tutte (o quasi) donne cinquant’enni. Sensibili al coetaneo, compagno di numerose serate al cinema e alla tv, e al fascino di un uomo a cui non fa difetto l’amor proprio. A Cesena ha presentato il suo “Mario, il mago”. Girato in Ungheria racconta la storia vera di un paesino sconvolto nel 1990 dall’arrivo di un imprenditore italiano di scarpe che delocalizza la sua produzione. Le scarpe per un sammaurese hanno sempre un qualcosa di particolare. Qui si aggiunge dell’altro: il passaggio dal comunismo al capitalismo di una piccola comunità, che inizia a conoscere consumi, diversi modi di produrre e persone dalla cultura nuova. La follia finale della protagonista la dice lunga su quale sia stato lo sconvolgimento. È interessante notare che Nero poco si vede in Italia. Infatti ha raccontato di ricevere ovunque offerte, tranne da noi. Altro caso di fuga di talenti?

LA SPOSA TURCA

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Decisamente bello e forte nei contenuti “La sposa turca”, il film proiettato mercoledì scorso nella sala Gramsci nella rassegna sull’intercultura al femminile. Una storia ambientata in Germania (Amburgo), che ha per protagonisti due turchi: il 40enne Cahit, la 20enne Sibel. Due disadattati sociali che infatti si conoscono in un istituto di sopravvissuti al suicidio: lui vive solo in funzione di alcool e droga; lei non sopporta le rigide convenzioni turche della sua famiglia. Finiscono per sposarsi, anche se non si amano. Ma la storia e la convivenza finisce per farli incontrare per davvero: nel cuore e nello spazio (a Istambul). Orso d’Oro a Berlino nel 2004, è un film sul difficile modo di vivere in terra straniera. Non è una pellicola a sfondo sociale, bensì introspettivo. Racconta il male di vivere non esclusivo appannaggio dell’Occidente, testimonianza che tutto il mondo è paese anche nei suoi dolori.

BREVE FIACCO RITORNO

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È la prima volta che leggo un libro di Mignon Good Eberhart. E devo dire che non mi ha suscitato un grande entusiasmo. “ Breve ritorno ”, uno dei classici proposti in edicola da Repubblica, ha il limite della scontatezza. Della suspense a comando, incapace di suscitare quello scatto di interesse che per un romanzo giallo è vitale. La storia è quella di tre ragazze (due sorelle e una cugina voce narrante) felici nell’essersi rifatte una vita dopo la morte di Basil Hoult (marito di Alice, una delle due sorelle). Tranquillità e agiatezza economica scandiscono i loro giorni fino a quando non ricompare in vita colui che si pensava morto, appunto Basil. Si tratta in realtà di un “breve ritorno” perché dopo poche ore viene trovato morto a due passi da casa. Chi è l’assassino? Spuntano le ipotesi, la polizia indaga, gli intrighi amorosi si infittiscono. Insomma, il solito plot con un po’ di fiacca in più. Non certo degna del miglior giallo che si rispetti.

DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO

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Uno dei personaggi più pubblici del mondo può silurare qualcuno perché ha reso pubblico un qualcosa? Capita anche questo. E ancora una volta nella mitica Inghilterra. Anche se gli attori sono un italiano (Briatore) e un portoghese (Paulo Sousa). Il primo è il presidente dei Qeens Park Rangers, il secondo ne è stato l’allenatore. Fino a pochi giorni fa, prima di essere esonerato per «aver divulgato informazioni confidenziali e riservate», la motivazione. Che abbia rivelato qualcosa di segreto sulla Renault, o su presunti schemi? No. Sousa si è lamentato a voce alta perché la società ha ceduto l’attaccante Dexter Blackstock al Nottingham senza essere stato informato. Briatore – sei allenatori in due anni – gli ha ricordato che i panni sporchi si lavano in casa. Mica come quelli della Gregoracci, quelli sì rigorosamente pubblici. D’altronde vuoi mettere il completino col pizzo della bella Elisabetta con la tuta sudata di un Sousa qualsiasi?

AMNESIE INGLESI

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Mentre il mondo del calcio è unito nel levare alto il grido di dolore per l’abbandono di Adriano (perché poi compatirlo, mica glielo ha detto il dottore di giocare?), in Inghilterra hanno deciso di spararle grosse. Dimenticando aplomb e sportività di cui vanno fieri, un parlamentare europeo (Richard Corbett) ha raccolto 10mila firme. Nessun disegno di legge all’orizzonte ma la richiesta all’Uefa di consegnare al Leeds la Coppa delle Coppe del 1973. L’aveva vinta il Milan a Salonicco in una delle finali più brutte che si ricordino (1 a 0, gol di Chiarugi). Secondo il politico ci fu un arbitraggio a senso unico a favore del Milan, tale da far sospettare qualcosa di losco. Ma Corbett, suvvia, perché non sei andato ancora più indietro, magari al 1966, anno di vittoria mundial inglese grazie a un gol fantasma? E a Maradona cosa facciamo, gliela vogliamo tagliare quella mano dopo il Messico? Corbett è Laburista: che sia arrivata anche là la crisi della sinistra?

IL FASCINO DI ALESSIO

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Anche Cesena non ha saputo resistere al fascino di Alessio Boni. Il Caravaggio o il Puccini che tanto piace alle donne. Anche se oltre che bello è bravo. Un po’ come Kim Rossi Stewart. Al San Biagio per il Backstage Festival ha fatto il pieno. Ha parlato di come è diventato attore: faceva il piastrellista a Bergamo, non gli piaceva, vagava insoddisfatto tra una cosa e l’altra, finché a 22 anni è rimasto folgorato a teatro. Ma è parlando del linguaggio che ha dato il meglio: “il modo di parlare oggi cambia velocemente, ogni 6-7 anni. Gassman parlava bene nel ’64, oggi il suo linguaggio sarebbe anacronistico, dovrebbe essere aggiornato. Il problema è che la contemporaneità è troppo veloce, appena l’afferri ti scappa. Siamo bombardati da tante cose che hanno fatto sì che la soglia d’attenzione sia diversa”. E ancora: “Il Grande Fratello non è negativo in sé. Il problema è che c’è solo questo!”. Evvai Alessio.

LE ARGUZIE DI PERRY

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Interessante l’iniziativa di Repubblica che ha deciso di ripubblicare i primi gialli della collana Mondadori. Un’immersione nella buona lettura, sempre che il genere sia di gradimento. Di recente ho letto “Perry Mason e l’avversario leale” di Erle Stanley Gardner. Lo scrittore americano è l’inventore del celebre avvocato indagatore, reso famoso grazie a un telefilm di successo. La storia è semplice. Due sorelle (Margherita e Carlotta Faulkner) con un’azienda di vivaistica di fiori vengono insidiate dal loro principale concorrente (Arrigo Peavis), che non si fa scrupolo nel voler acquisire la loro catena di negozi. Peavis, sfruttando la debolezza nel gioco del marito di Carlotta e attraverso alcuni amici fidati, riesce ad avvicinarsi al pacchetto azionario di maggioranza dell’azienda Faulkner. Nel mezzo ovviamente c’è un omicidio, tanti indiziati e la risoluzione del problema grazie a Perry Mason. Una storia semplice ma non per questo una storia banale.

L’EUGENIO NAZIONALE

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Maglione verde, barba bianca accompagnata dal solito occhiale, incedere lento, estremamente ragionato. Eugenio Scalfari è un’autorità nazionale, Cesena ha risposto a dovere al Palazzo del Ridotto (a proposito, audio pessimo!). Doveva presentare il suo ultimo libro, “ L’uomo che non credeva in Dio ”, in realtà ha raccontato un po’ di tutto. Difficile non rimanere affascinati da una personalità che ha fatto la storia del giornalismo militante. Uno oggi preoccupato perché “l’opinione pubblica non esiste più”, e perché “è l’indifferenza che ammazza”. Aggiungendo, laconico: “oggi anche parte della sinistra è indifferente”. Ha ricordato i meriti del Pd di Veltroni – “ha raggiunto il 33% con un partito nato in pochissimo tempo, e che praticamente non esisteva” – lanciando una stoccata al nemico di sempre, sir Silvio, “ha l’adorazione della propria immagine”. Impossibile dargli torto.

AUGURI TRAP

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Il suo sacco da tempo porta con sé quel famoso gatto. Quello che gli ha donato sette vite come ai felini. Mister Trapattoni compie oggi 70 anni. Non li festeggia da pensionato, ma sulla panchina dell’Irlanda prossima avversaria dell’Italia. Un simbolo del calcio, accusato di strenuo difensivismo, paradossalmente tra i primi allenatori global del pianeta (10 scudetti vinti in quattro stati). Il suo Strunz ha fatto il giro del mondo, così come i fischi con le dita, e le sue celebri frasi (“Sia chiaro che questo discorso resta circonciso tra noi”). Malgrado abbia vinto tanto due i rammarici: la bruciante sconfitta ad Atene contro l’Amburgo nel 1983 (due anni dopo vinse a Bruxelles, ma quella fa storia a sé); il flop con la nazionale italiana, con l’arrivo dell’altra Corea. Per il resto una carriera internazionale da urlo: 1 coppa delle Coppe, 1 Campioni, 1 Intercontinentale, 3 Uefa. Scusate se è poco.

C’ERA UNA VOLTA ENYINNAYA

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È stato una delle tante “scoperte” dell’Inter. Lo avevo lasciato al dicembre di dieci anni fa con la maglia del Bari, dove aveva fatto il fenomeno insieme al giovane Cassano. Risultato: Bari 2 - Inter 1. Il suo nome è Ugo Enyinnaya. Nigeriano, forza della natura, una delle tante promesse del calcio finito nel nulla. Di lui avevo perso le tracce, anche se al bar quando si parla di signori nessuno “scoperti” dall’Inter il suo nome spesso ricorre. Lo ha rintracciato l’inserto Sportweek che gli ha dedicato una bella intervista (“Io che potevo essere Cassano”). Adesso gioca nell’Anziolavinio in Eccellenza. Prima ha fatto il giramondo: dopo Livorno e Foggia, è andato in Polonia dove ha giocato senza prendere lo stipendio. Racconta che lo sbaglio più grande della sua vita è stato fidarsi di procuratori disonesti: poteva avere un contratto di 3 anni in Ungheria, gli dissero che gli avrebbero trovato di meglio. In realtà l’hanno abbandonato. Il calcio purtroppo è anche questo volto oscuro.

SPECIAL ULTIMO

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Chi ama il calcio e tifa Inter non può che essere deluso della prima di Champions contro il Manchester United. Speravamo di vedere all’opera i nerazzurri, siamo stati sommersi dall’onda rossa degli inglesi. Una lezione di tattica, tecnica, in una parola di squadra. L’incredibile però sta nei commenti di oggi. Il senso generale è: “c’è ottimismo nel ritorno in Inghilterra, il risultato di 0 a 0 ci favorisce”. Ottimismo? Dove lo si trovi rimane un misero, vista la partita a senso unico a Milano. Per informazioni chiedere alla Roma due anni fa: andata 2-1 per i giallorossi, ritorno 7-1 per i Blues. Poi c’è la questione Mourinho, nemico da sempre di Alex Ferguson. All’uscita dal campo non si sono neppure salutati. Anche se lo Special One ha confessato che “il giorno prima della partita gli ho mandato una bottiglia di vino in albergo, una bottiglia da 300 sterline, e gli ho scritto: Arrivederci a Manchester”. Bel gesto, ma comunicare il prezzo è da “Special ultimo”!

IL GRANDE JABBAR

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Nel 1968 aveva rinunciato alle Olimpiadi per protesta contro il predominio bianco. Quarant’anni dopo si ritrova un nero alla guida del suo paese. Ne è passata di acqua sotto i ponti per la stella del basket, Kareem Abdul Jabbar. Quello del gancio cielo, quello a cui avevano vietato le schiacciate perché era troppo alto. Ma anche quello appassionato di storia, quello impegnato per i diritti civili. Alcuni giorni fa (17.02.2009) il Corsera gli ha dedicato una bella intervista. Archiviati i tanti record (38.387 punti in 20 stagioni), ora allena i giovani. Giovanotti alquanto viziati e bizzosi a sentir lui: “Pensano di sapere già tutto, sono insofferenti a qualsiasi osservazione. Saltano, schiacciano, e solo per questo credono di essere dei fenomeni. Poi, che la squadra perda di 20 punti, a loro non interessa”; “I giocatori guadagnano molto, e da subito, ma hanno perso la possibilità di imparare il gioco, e i suoi valori etici, in una situazione senza stress”. Jabbar sei un grande!

SENSO DI COLPA ARBITRALE

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Notevole la lezione di calcio che i brasiliani hanno dato ai campioni del mondo. Hanno fatto vedere che la tecnica ancora paga. Eccome, se paga. Tutto il mondo se n’è accorto. Tranne i nostri vertici del calcio. Che hanno sì riconosciuto lo strapotere verdeoro, ma un appunto all’arbitraggio lo hanno fatto. Impossibile che un italiano non parli di una giacchetta nera. È nel nostro dna. Quasi una malattia. Petrucci presidente del Coni ha detto: “Loro hanno meritato. Ma dobbiamo notare, a proposito di arbitri, che il gol di Grosso era regolare. Prendiamo atto ed accettiamo". È vero, la rete di Grosso era buona, ma è anche vero che la partita è stata a senso unico. O, come si diceva una volta, a porta unica. Perché stupirsi di questi vertici che stanno allo sport come il cavolo sta alla merenda. Difficile pretendere cultura sportiva se dall’alto non arrivano buoni esempi.

CONTRORDINE: LA SPAGNA NON E’ IL PARADISO

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Contrordine amici sportivi: la Spagna non è più quel paradiso calcistico che ci avevano raccontato. Altro che modello organizzativo di club e nazionale, riassunto nello slogan di mister Aragones, “liga de las estrellas”. Tutta falso: gli iberici stanno soccombendo dai debiti. La cifra è astronomica: 627 milioni di euro, più 4,9 milioni alla previdenza. Valencia, Saragozza, Santander e Bilbao sono in bancarotta tecnica, Real Sociedad, Espanol e Villareal sono al limite dell’indebitamento. Una debacle a cielo aperto, acuita da ben 233 denuncie di calciatori che non percepiscono lo stipendio pattuito. Insomma, la patria di Zapatero è di fronte a un crac di proporzioni immani, dovuta a una “eccessiva sproporzione fra guadagni e spese”, ha detto un esperto spagnolo. Chissà cosa stanno pensando a Madrid, sponda Real, il cui sogno nel cassetto rimane Kakà. Per tranquillizzare il fisco il Presidente Florentino Perez alla domanda avrebbe già risposto “Kakà chi?”.