“Donne, wodka e gulag”, Marco Iaria
"Streltsov, il
Majakóvskij del pallone", Romagna Gazzette, Aprile 2018
Impossibile anche solo immaginare, la fantasia al potere in
un regime che aveva fatto della burocrazia e dell’assenza di libertà il suo
tratto dominante. Tanto più in un gioco ove l’individuo era considerato parte
di un ingranaggio collettivo, specchio della superiorità di un modello
ideologico. Il calcio nella Russia sovietica è stato soprattutto questo: non un
divertimento, ma un mezzo per la costruzione del socialismo. Il giocatore, un
soldato irreggimentato al servizio della causa. Guai a uscire da questi rigidi
schemi, farsi avanguardia di creatività.
Ne ha saputo qualcosa Eduard Streltsov, il Majakóvskij del
pallone della metà degli anni ’50, caduto nelle terribili grinfie del Pcus. Chi
sfoglia una qualsiasi antologia russa con i campioni del pallone, non troverà
il suo nome. Vedrà quelli del celebre Jascin, dell’attaccante Blokhin, di
Streltsov nessuna traccia. Perché nel bel mezzo della sua carriera, anziché
scorazzare nei campi di calcio si è trovato in mano un’accetta per il taglio
degli alberi nel gelo siberiano. A raccontare la sua storia è il giornalista Marco Iaria, nel libro “Donne,
wodka e gulag”.
Talento da vendere, facile al colpo di tacco, abitudine al
gol (il primo a 16 anni, più giovane marcatore della storia della lega
sovietica), Streltsov ha impersonato il sogno di tanti ragazzi. La sua squadra
era la Torpedo Mosca, la cenerentola delle formazioni dei vertici del partito,
che privilegiavano Dinamo Mosca e Csda (poi negli anni Cska). A 20 anni la sua
carriera era all’apice, i “cento giorni di Streltsov”: 31 gol tra Torpedo e
nazionale, settimo posto nel Pallone d’Oro, “Sputnik del calcio moderno”
secondo la definizione di un giornale.
Solo che il ragazzotto aveva dei vizi:
l’amore per la bella vita (donne, alcool e qualche rissa), l’indisciplina alle
regole, vestiario e pettinatura alla occidentale. Un peccato mortale per chi
aveva idealizzato l’uomo nuovo socialista. E se un personaggio in Occidente
veniva assurto sull’altare del mito (vedi George Best), in Oriente era un
peccatore di lesa maestà. Facile, poi, per un regime totalitario trovare un
capo d’accusa. Nel caso di Streltsov, lo stupro, arrestato dopo un solo mese di
indagini e un processo farsa di due giorni a porte chiuse. La condanna è di quelle
pesantissime: 12 anni di reclusione (poi ridotti a 7) e lavori forzati in
Siberia. Tutto questo a 21 anni, nel pieno delle forze, dopo una medaglia d’oro
alle Olimpiadi di Melbourne. E così come la Russia sovietica toglie, d’incanto ridà.
Ovviamente nel modo più paradossale: a porre fine alla squalifica della stella
del calcio, infatti, sarà uno dei personaggi più repressivi, Leonid Breznev.
Streltsov torna in campo, vince il campionato con la Torpedo (1965), viene
premiato come migliore giocatore del torneo. Nel complesso sportivo di Luzniki
a Mosca gli hanno dedicato una statua.
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