Olivieri, purtroppo dimenticato

Ho terminato da poco “La fine di Casanova”, terzo libro di una personale trilogia di Renato Olivieri, acquistata per caso in un mercatino dell’usato a Bologna lo scorso novembre. Sotto mano mi sono finiti Il caso Kodra, Villa Liberty e il già citato Casanova. D’un colpo li ho fatti miei e neanche 10 euro e senza trattativa (sotto quei tendoni si sa che si va in contrattazione). 

Di Olivieri mi aveva colpito alcuni anni fa la sua “tecnica” di scrittura. Se ne andava tutto solo in un appartamento a Milano e lì, in quel rifugio, scriveva i suoi romanzi. È stato un padre del giallo e come spesso avviene è finito nel dimenticatoio. Oggi che il genere viaggia al ritmo di una pizzeria d’asporto in pieno centro, sarebbe il caso di riscoprire la sua grandezza, e magari risarcire il suo vice commissario Ambrosio dalla pessima performance televisiva interpretata da Ugo Tognazzi parecchi anni fa.

Olivieri si inserisce perfettamente nella scuola italiana d’altro profilo del genere: il giallo, o poliziesco che sia, non mette il delitto al centro, bensì il crimine serve per raccontare il contesto. Il suo è la Milano di fine anni ’70 e inizio ‘80, in genere fredda, piovosa e spesso sommersa dalla nebbia. Una città euforica nelle professioni, dai tanti soldi, ma con un grande vuoto nelle persone. 

Per capire dove avrebbe portato lo scintillante mondo dello yuppismo con relativa deriva della piccola e media borghesia bastava leggere uno dei suoi romanzi. Le indagini di Ambrosio, fatte di un intreccio di dialoghi, sono la fotografia dell’intimo e del contesto. In alcuni passaggi sono persino meglio di un trattato di sociologia. 

Olivieri va riscoperto, come tutti i grandi del passato (De Angelis, D’Errico…). Qualcuno se ne ricordi.


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