Processo ai Vitelloni, secondo me finisce così…
Solo due mesi fa quando Miro aveva annunciato il tema non
avevo dubbi su come sarebbe andata a finire. A farmi cambiare idea sono stati alcuni
articoli usciti sulla stampa a difesa dei Vitelloni. Il più clamoroso è quello
di Pupi Avati sul Corriere della Sera, con tanto di richiamo in prima. A
seguire quello di Steve Della Casa sul Corriere Romagna.
Avati l’ha messa sulla giovinezza spensierata, sulla
cultura del tempo che ti imponeva di essere maschio con leggerezza. Della Casa
ha fatto un’analisi del film di Fellini con quei Vitelloni che “rifiutano di
abbandonare il bambino che è in loro”. L’unica voce autorevole per la parte
avversa è arrivata da Andrea Maioli, firma della cultura del QN, secondo il
quale fu lo stesso Fellini a condannare i Vitelloni immedesimandosi nella
figura di Moraldo, quello che alla fine se ne va.
Insomma, voci discordi come è giusto che sia. La Romagna,
in questi processi, è sempre stata autoassolutoria. Ha sempre difeso a spada
tratta la sua storia e le sue tradizioni. Questa volta in ballo c’è un modello
di maschio che tanto ha attinto nel reale e nell’immaginario di tanti giovani
cresciuti in Riviera. L’immagine è probabilmente sbiadita nelle fresche generazioni
d’oggi. Ha resistito fino agli anni ’80, dalla fine dei ’90 è iniziato il
declino. Anche il film di Vanzina, “Sotto
il sole di Riccione”, lo conferma col vitellone Roncato (Andrea) in là con gli
anni, pieno di nostalgie e ricordi, anticamera della vecchiaia.
Anche se la vera pietra tombale l’ha data il numero uno
per eccellenza: Zanza. Triste e solitario il suo finale, morto sì sul campo ma a
pagamento…
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