Omar Sivori, Bosco

"Sivori, l’angelo con la faccia sporca", Romagna Gazzette febbraio 2021 


Ci sono personaggi del calcio che non hai mai visto giocare. Li hai però talmente incrociati nelle testimonianze e nelle letture che ti pare averli visti in campo. Sono gli immortali, quelli che hanno fatto la storia, come Omar Sivori, uno dei campioni più politicamente scorretti che questo sport abbia prodotto. Tunnel in abbondanza in segno di sberleffo, guancia sempre ricambiata alla prima provocazione, ego smisurato al pari della classe. Alla prima conferenza stampa sbarcato nel Belpaese così si presentò: “Finalmente anche in Italia si giocherà il vero calcio e io ne sarò il messia”. Lui arrivava da un’Argentina con zero tituli, l’Italia in bacheca ne aveva già due di Mondiali, così giusto per dire. A 85 anni dalla nascita e 15 dalla sua morte, Andrea Bosco gli ha dedicato il libro “Omar Sivori. L’angelo con la faccia sporca” (Minerva editore, 2020).

Il suo è un atto d’amore al calciatore che l’ha stregato in giovanissima età, in quella gara con la Fiorentina nel 1959 quando il Cabezòn di reti ne fece tre. Da quel giorno Bosco non ha fatto altro che pensare a lui, all’idolo che cercava di imitare in strada con scarsi risultati. “Fare le cose che faceva lui era impossibile – scrive Bosco – Quelle cose non si potevano imparare: lui era unico”. Come dice Mario Sconcerti, Sivori ha giocato in un’era poco televisiva e quindi arrivata a noi per via orale. Per lui parlano i numeri: tre scudetti con la Juventus, tre col River Plate, altrettante coppe Italia, una Coppa America con l’Argentina, Pallone d’oro nel 1961. In controluce anche 10 espulsioni e 33 giornate di squalifica. Ma questi son dettagli che fan parte del personaggio, che Bosco tratteggia con la passione del mito tanto da farsi prendere la mano negli aggettivi, per sua stessa ammissione nel finale di testo.

Il libro merita di essere letto anche per la postfazione di Gino Stacchini, il romagnolo più illustre del calcio. Compagni di squadra per otto stagioni alla Juventus (1957-1965), tra i due in campo si era creata una speciale armonia per il comune linguaggio nel maneggiare il pallone, fatto di tecnica ed estro. Secondo Stacchini, Sivori “è stato l’ultima grande bandiera di un calcio magico, estroso, libero, che stava cambiando pelle”. L’ultimo epigono di uno sport nel quale la fantasia e la classe del singolo facevano la differenza sul collettivo. “Nel calcio d’oggi si applaude una chiusura e un fuorigioco ben fatto”, ha detto sempre Stacchini in una recente intervista. Tunnel e dribbling, insomma, sono un lontano ricordo. Dire che abbiamo fatto progressi equivale al senso di verità in Pinocchio.



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