Giuseppe Zanotti, lo stilista delle star
“Giuseppe Zanotti, lo stilista delle star”, MilanoMarittimaLife summer 2021
Parlare con Giuseppe Zanotti è come immergersi nel mondo della musica e dello spettacolo. Con naturalezza ti racconta di Michael Jackson, Beyonce, Jennifer Lopez, Kanye West, Lady Gaga come fossero vicini di casa a cui dai del tu. Per dirne, il nostro incontro avviene il giorno dopo le nozze di Ariana Grande. “Le ho disegnato cinque modelli, ha scelto quello che le piaceva di più”. E su un foglio inizia a disegnare un bozzetto con una naturalezza pari al sole d’agosto. C’è una parola che descrive bene lo stilista: “made”. Come ‘made in Italy’ di cui è l’emblema del fashion creativo nel mondo, e ‘self made man’ personaggio che si è fatto da sé con il duro lavoro unito all’inventiva.
Siamo negli sfavillanti anni ’70 e lei fa il dj nelle
radio libere.
Sono nato a San Mauro Pascoli, ero attratto dalla musica
e dal disegno. Gli anni ’70 sono stati di grande dinamismo nel mondo musicale, le
radio libero pullulavano, insieme ad amici mettevo dischi la notte, mi piaceva
soul, blues, poi la disco music e quella sperimentale.
Cosa c’è in comune tra la musica e la moda?
L’estetica. Ci sono state copertine di vinili che hanno
fatto epoca e hanno influenzato il mio lavoro. Ne cito alcune: la banana di
Andy Warhol nel disco dei Velvet Uderground; Lou Reed, che ho conosciuto,
vestito da poliziotto; “Pearl” di Janis Joplin; “Woman” di John Forde; “Tubular
bells” di Mike Oldfield; e la più bella in assoluto “Quadrophenia” degli Who che
racconta il disagio e il cambiamento di quegli anni.
Copertine che hanno fatto epoca.
Noi abbiamo esplorato i generi musicali allora sconosciuti
e questo ha poi condizionato il nostro modo di fare moda. In televisione questo
mondo era bandito. Insieme ad amici vestivamo punk, non il nero decadente bensì
in maniera trasgressiva e alternativa per andare nelle discoteche della riviera
che ospitavano i primi dj internazionali. Confesso che eravamo un po’ arroganti
ed estremisti nel pensare, ma era il nostro modo di dissacrare il vecchio.
Poi arriva il momento delle scelte.
E infatti dovevo scegliere se fare il gelataio con i miei
genitori oppure disegnare scarpe. La calzatura era l’unica espressione presente
a San Mauro, non c’erano abbigliamento e industria design. I primi passi li
faccio in un calzaturificio, seguito da una persona di lunga esperienza che mi
insegna la tecnica. Fino a quel momento sapevo solo disegnare; da lì invece capisco
che la tecnica poteva materializzare il sogno e farne un prodotto. Da quel
momento sono stato un fiume in piena e non mi sono più fermato.
Come era fare scarpe nei colorati anni ’80?
Nel distretto di San Mauro mancavano espressioni
dinamiche che noi ragazzi avanguardisti di allora avevamo. La Riviera romagnola
accoglieva energie da tutto il mondo. Nascevano nuovi modi di comunicare come i
videoclip con Michael Jackson, Duran Duran, Ultravox, nell’arte pone le basi la
street art. Si esce dall’accademico e dalle cattedrali dal sapere, e si fa più
popolare. Il successo attuale della sneaker nasce da qui. Ecco, personalmente sono
stato parte di questo percorso e infatti ho deciso di fare sneaker ma col mio
codice, con il mio stile e modo di pensare. La scarpa è una fotografia di chi
la fa, noi abbiamo 21 parole chiave che la collezione deve contenere.
Le sue prime creazioni?
All’inizio facevo il freelance, ovvero il disoccupato. Le
mie collezioni ricevevano la risposta: “tanto non le vendi”. Siccome sono un
tipo ottuso andavo avanti per la mia strada, anche perché se avessi ascoltato
tutti quelli che ti dicono “non si può fare” non avrei fatto niente nella mia
vita. Rimediavo qualche soldo e a volte mi pagavano in maniera strana.
In che modo?
Una volta con una pizza, un’altra con tagliatelle. Un
altro ancora mi pagava mensilmente con vitto e alloggio, uno stanzino con una
lavatrice che quando partiva faceva vibrare tutto. Mi davano pochi soldi al
mese. Ma non racconto questo in maniera negativa perché è stata un’esperienza,
ho imparato tanto, mi sono fatto conoscere.
Il salto?
Nel 1986 con la mia prima collezione negli Usa per uno
stilista. Vengo a contatto con un mondo della moda aperto e democratico.
Chi è lo stilista per lei?
Lo stilista non è uno che si mette a tavolino e inventa
un modello nuovo. È una persona che pensa a ciò che c’è intorno a lui: se va in
un locale, guarda a come si vestono le persone, la musica che c’è, cosa bevono,
come vestono. In quel contesto deve “disegnare” la scarpa. Noi lo abbiamo
capito dalla strada e non dalla scuola. E gli anni ’80 sono stati centrali
perché in quel momento l’Italia era la capitale del mondo. È un mondo che
cambia in maniera veloce. Prediamo oggi: la moda si abbina alle felpe, a un
vestirsi svogliato, a un modo impersonale che in realtà è personale. L’etichetta
è rimasta solo a matrimoni, funerali e in alcune professioni.
Lei ha ideato calzature per Lady Gaga, Jennifer Lopez,
Ariana Grande, Kate Perry, la lista è lunga…: come nasce un’idea per loro?
L’incontro a volte avviene per caso, spesso in eventi
mondani. Madonna, George Clooney, Kenny West, Beyonce, Kelly Rowland e tanti
altri li ho conosciuti così.
Partiamo con Beyonce.
Ottimo legame professionale, lei è una dinamite per
dinamismo. Sono andato con lei in sala di incisione alla Sony record, a casa
sua e alla sua festa di compleanno.
Il rapper Jay Zee
Ricordo un aneddoto, una festa a New York in un locale
giapponese. Era tutto a base di cocktail analcolici che davano le sembianze
dell’alcol.
Jennifer Lopez.
Mi invitò a casa sua a Los Angeles e si stabilì un
rapporto professionale bello e intenso.
Kenny West.
Pazzesco. Parlavamo di scarpe, lui intanto scriveva rime in
slang per le sue canzoni. L’ho ospitato a casa mia e gli ho fatto conoscere
l’essenza della Romagna.
Lady Gaga
È stato un caso unico, per una serie di vicissitudini non
ci siamo mai incontrati di persona. Con lei abbiamo ideato una scarpa sospesa
senza tacco, un progetto unico nel mondo.
Come si lavora con le star?
Ci si confronta, si interagisce. Loro cercano qualcosa
che hanno dentro, noi cerchiamo di avvicinarci al loro desiderio mettendoci del
nostro e prendendo dei rischi. È una sintonia da trovare insieme.
La calzatura più rock che ha ideato?
Lo stivale per Michael Jackson che purtroppo non ha messo
perché è scomparso poco dopo, l’altra è un sandalo di Beyonce con cui ha
ricevuto 3 Grammy awards.
Quella più pop?
La zeppa Aina ispirata a Andy Warhol e Kandinsky.
Qual è il plus dell’essere italiani in un ruolo come
lo stilista?
È la nostra storia che ti impregna di antichità e
bellezza. Siamo una terra crocevia di culture che ci hanno arricchito: bizantina,
saracena, romana, gotica… Volgi lo sguardo al ponte di Tiberio, rimani
affascinato e ti rendi conto del genio italico. Essere italiani aiuta,
scopriamo cose nuove da quelle del passato. Al centro di tutto però deve
esserci la curiosità.
Qui il link della rivista: https://www.milanomarittimalife.it/la-rivista-milano-marittima-life/
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