Giovanissimi, Forgione


Sono pochi gli squarci di luce nel mare in tempesta dipinto da Alessio Forgione nel romanzo “Giovanissimi” (Enne Enne editore, 2020). L’età dei 14 anni è un viatico per tutti, un crocevia che può prendere le direzioni più diverse: autostrade piane come un tavolo da bigliardo per traguardi di sicuro avvenire, o asfalti irti di buche come il caso della storia al centro del racconto. Si svolge in un quartiere di Napoli, Soccavo, protagonista è Marocco (è il suo soprannome, Pane lo chiamano solo gli insegnanti a scuola), uno che col pallone ci sa fare, coinvolto però in un gioco più grande di lui: le difficoltà della vita. Che nel suo caso hanno il volto della madre che a un certo punto se ne va di casa dopo l’ennesimo litigio col padre e non dà più riferimenti all’adolescente. È l’inizio di un tunnel che si fa sempre più buio: la scuola frequentata come se non ci fosse, il rapporto col babbo fatto di silenzi e risolto in schiaffoni, il gruppo di amici che a volte degenera nell’illegalità.

Il luogo dove eccelle è il campo, tuttavia anche lì le soddisfazioni pian piano vengono meno, dal provino con la Salernitana, alla stagione avara di soddisfazioni. “Avevo l’allenamento ma considerai di non andarci. A chi sarebbe interessato? Il campionato era perso e anche il Mister era altrove. A nessuno importava e volevo solo dormire e non pensarci. Dormire e lasciare che la vita scorresse via e poi svegliarmi e controllare se qualcosa era cambiato e se tutto era ancora uguale semplicemente ricominciare a dormire”.

Un grande sonno dal cui torpore riesce a risvegliarlo Serena, una ragazzina che gli dà le prime gioie dell’amore. La bravura di Forgione sta nel raccontare non il classico caso limite alla Scampia, bensì una specie di terra di mezzo che ancora può trovare salvezza, una via di uscita a un destino non ancora segnato. Davanti alla morte di un compagno di squadra finito in un losco giro, Marocco legge i presagi del proprio destino. “Sentivo che prima o poi anche la mia vita sarebbe finita o si sarebbe rovinata del tutto e che non avevo la possibilità di evitarlo né la forza per cambiare rotta. Mi guardavo alle spalle, per controllare che nulla mi stesse assalendo”.

La sua strada però non è senza sbocchi, un’ancora di salvezza ancora ce l’ha: basta prendere il tragitto giusto, quello senza buche capaci di farti cadere…

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