Franceschini, tra Cesenatico e Mercato Saraceno
È impossibile non lasciarsi ammaliare da “Bassa marea” (Rizzoli, 2019) di Enrico Franceschini. È impossibile se lo divori in due giorni in spiaggia a Ponente e sullo sfondo ti trovi quel capanno che è la tana del protagonista, il giornalista Mura (chiaro omaggio al grande Gianni Mura). È impossibile se vai in sella alla bicicletta e solchi le vie di Cesenatico, ops Borgomarina, e ti pare di stare dentro le pieghe del libro, tra il San Marco, il Dolce&Salato, il Faro, il grattacielo, il Giardino dei sapori perduti…
“Bassa marea” è un libro che vivi sulla tua pelle, ecco la parola giusta, e ti fa respirare il clima della vacanza, anche se la storia è ambientata in primavera. Perché è un libro da leggere nella spensieratezza dell’estate (la foto del post non è casuale). Una storia leggera che si dipana lungo due assi: il plot con leggere tinte di nero, protagonista un giornalista in pensione che si ritrova investigatore per caso; un gruppo di amici di lunga data a metà tra la canzone di Gino Paoli (senza voler cambiare il mondo) e “Amici miei” di Monicelli.
Annoverare il romanzo tra i must del genere non è il
caso. E penso che ne sia consapevole anche l’autore. Catalogare il libro in un
filone di soft noir è più appropriato, tant’è che la leggerezza non viene mai
meno nelle oltre 300 pagine del volume. Il libro è il primo di una quadrilogia
che ha già visto l’arrivo nel numero due, “Ferragosto” (2021).
Di Franceschini avevo letto in precedenza “La donna della
piazza Rossa” (1994) e “Voglio l’America” (2009), libro quest’ultimo che avevo
acquistato dopo una sua presentazione al Bagno Milano più di una decina di anni
fa (guarda le coincidenze, sempre a Cesenatico). Quello che si nota nella sua scrittura
è un forte tratto autobiografico, in tutte le storie che racconta. Fatti di
vita e di lavoro vissuti in prima persona in tanti anni lontano dall’Italia, vengono
romanzati e inseriti dentro le trame in un intreccio tra vita e racconto.
E malgrado il carattere globetrotter di Franceschini c’è
una cittadina che spesso ricorre in lui: Mercato Saraceno. In “Voglio
l’America” si trova nel dilemma se rimanere negli States oppure rintanarsi a
Mercato Saraceno in compagnia della sua amata Angie per scrivere il romanzo
della sua vita (“A dire la verità non c’ero mai stato [a Mercato Saraceno]. Ma
mi piaceva il nome, esotico quanto bastava; il puntino che lo contrassegnava
sulla carta geografica era talmente piccolo da far presumere che fosse una
cittadina di poche migliaia di abitanti; e questo faceva presumere che la vita
lì costasse poco, per cui saremmo riusciti a tirare avanti con un po’ di
risparmi e di lavoro”).
In “Bassa marea” la fase più cruenta della storia,
pistole alla mano, avviene sempre a Mercato Saraceno.
Due indizi non fanno una prova ma ci vanno vicino. E
allora, caro Franceschini, perché questa ossessione per Mercato Saraceno?
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