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E LI CHIAMANO PASSI IN AVANTI

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C’era da aspettarselo. Prima o poi si sarebbe arrivati a ciò. Domenica prossima niente calcio in chiaro. Lo si potrà vedere solo sulle piattaforme a pagamento. “Una svolta epocale” l’ha definita il critico tv Aldo Grasso. Un deciso passo indietro, dico io. La televisione è arrivata al colpo mortale del “prodotto calcio”. Ritornare ai tempi di “90° minuto” versione Paolo Valenti è impossibile. Arrivare al nulla di oggi una follia. Lo sport più popolare d’Italia dovrebbe rimanere di tutti e garantire fasce in chiaro al grande pubblico. I padroni del vapore non la pensano così. Già si permettono di avere sempre meno gente allo stadio (lo possono fare visto che i biglietti incidono per il 20% dei loro bilanci). Ora si prendono il lusso di averne meno in tv. Ma non pensano che il giochino prima o poi si potrebbe rompere? No, non ci pensano. Sono troppo presi dai super stipendi di Ibrahimovc, Del Piero e Ronaldinho.

BAGGIO, QUANDO LA CLASSE NON TRAMONTA

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Davvero bello l’articolo di Ivan Zazzaroni pubblicato oggi su “La Repubblica” dedicato a Roberto Baggio. Un campione uscito in punta di piedi dal mondo pallonaro. Non si è riciclato da procuratore-allenatore-osservatore-commentatore (la lista potrebbe continuare per un pezzo), come avviene nella triste “normalità” degli ex di oggi. No, ha deciso di starsene nella sua terra, la provincia vicentina, coltivando i suoi hobby. “Sto bene, sul serio. Questo che vedi è il mio mondo, la casa, il prato, il bosco, il capanno, gli uccelli, il magazzino. Non credo che potrei azzerare tutto per risalire sulla giostra, oggi”. Aggiungendo: “Quel che dovevo fare l'ho fatto, al calcio ho dato tutto me stesso”. Da applausi. In campo e fuori. Campioni non lo si è per caso. La classe non sta solo nei piedi ma anche nelle scelte di vita.

MUGHINI A ME M’E PIACE

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Assistere alla presentazione di un libro di Giampiero Mughini è come essere allo stadio. Tifoseria da curva, applausi che scrosciano, voci del pubblico che si susseguono, e alla prima provocazione la sua reazione non si fa attendere. Così è stato sabato pomeriggio al Bagno Milano a Cesenatico alla presentazione del suo “ Juve. Il sogno che continua ” (Mondadori). Terrazza stracolma di gente di tutte le età, macchinette fotografiche pronte a immortalare il giornalista, accenti più diversi, e un unico comun denominatore: la fede juventina. Che Mughini ha difeso a spada tratta, parlando della triade (Bettega, Giraudo, Moggi) come della più grande dirigenza della storia bianconera. Difficile essere d’accordo con lui. Nel contempo, da interista convinto, difficile non provare simpatia per Mughini. È uno che piace o non piace. Le mezze misure non ci sono. Prendendo a prestito Proietti, “a me m’e piace”.

TASSE VADE RETRO

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In Italia, si sa, alzare la voce conta. Se poi lo si fa al momento giusto, il gioco è fatto. I campioni olimpionici ne sono un esempio. All’unisono: “detassare i premi”. È gente che fatica tanto e guadagna poco, si dice. Per carità, tutto vero. Ma è anche vero che chi prende parte a una competizione sa quali sono le regole di partenza. Solo Singapore dà premi più cospicui (500.000 euro all’oro) ma sa già che non ne darà. Gli Usa sono a poco più di 16mila euro. Vista l’onda emotiva dei successi il capo del Coni, Gianni Petrucci, non poteva rimanere con le mani in mano: la detessazione è fatta. Fa consenso. Il popolo la vuole (lo dice lui). Riporto questo aneddoto di Gianni Mura: “Racconto quello che mi disse Bartali. «Dopo l'attentato a Togliatti e la vittoria al Tour del '48, De Gasperi mi invita e mi chiede: Gino, chiedimi quello che vuoi. Io rispondo: vorrei non pagare le tasse per cinque anni. Ma lui mi dice: no, questo è impossibile». Ma erano altri tempi.

QUANTO SEI BELLA ROMA

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Italiani brava gente, si è sempre detto. Capaci di inventarsi il peggio, vedi fascismo e mafia, ma anche il meglio, vedi olimpiadi del 1960 a Roma. Dimenticate dai più, sono state definite da un giornalista americano, David Maraniss, le migliori della storia. Il suo libro, “ Rome 1960 ”, 496 pagine in tutto, è in testa nelle classifiche di vendita degli States. Roma fu la prima olimpiade televisiva (la Cbs pagando 600mila dollari mandò in onda 20 ore; a Pechino la Nbc offrirà sette canali per 3600 ore di trasmissione!), vide l’irruzione di sponsor e doping. Andò in declino la vecchia concezione europea, aristocratica e dilettantistica dei giochi. Insomma, secondo Maraniss, furono “le Olimpiadi che cambiarono il mondo". Roma ancora una volta crocevia della storia. Da Cesare e Berruti. Lasciando in panchina Totti.

GRAZIE BECCA

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Chi ama il calcio tiene in serbo un giocatore nel proprio cuore. Anch'io ho avuto (e ho tuttora) questo calciatore: Evaristo Beccalossi. Se sono interista, lo devo ai miei fratelli e a lui. Ecco, ieri pomeriggio ho avuto la fortuna di incontrarlo e appena gli ho stretto la mano mi è venuta la pelle d'oca. Ricordo che alle superiori scrissi un tema su di lui. In tv non mi perdevo un suo tocco. Ancora oggi ho in mente i tunnel che fece a Furino in un memorabile 4 a 0 contro la Juve. Era l'anno dello scudetto 1979/80. Quello di una sua strepitosa doppietta contro il Milan. La vita di Beccalossi è raccontata in un libro scritto dal bravo Luca Pagliari, “ Mi chiamo Evaristo ”, presentato ieri a Cesena. L'ho comprato, lo leggerò tutto d'un fiato. Le emozioni non si dimenticano. Grazie Becca.

I DOPATI DELLA DOMENICA

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Il Tour de France è stato archiviato. E anche questa volta passerà alla storia più per le fiale proibite che per le imprese sudate. Riccò, Piepoli gli italiani, in compagnia di altri. Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Quello che preoccupa è la cultura sportiva della vittoria a tutti i costi, salute compresa. Sono quelli che il giornalista di Repubblica , Maurizio Crosetti, chiama i “dopati della domenica”. “In Italia almeno mezzo milione di sportivi truccati e senza controllo, vittime del mito della vittoria anche quando la vittoria non vale niente, solo l' orgoglio di arrivare davanti, o di specchiarsi e vedere muscoli lucidi e turgidi da culturista. Sono i «dopati fai da te», cioè il vero motore di un'industria parallela a quella della droga, nelle mani della criminalità organizzata, che fattura due miliardi di euro all'anno e che nel 2007 ha visto commerciare Epo per oltre 200 milioni”. Una volta la domenica si andava a passeggio, oggi ci si dopa.

QUESTIONE DI MILIONI

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Se chiedete anche a una persona di cultura media i confini dell’Uzbekistan, immagino che avrebbe non poche difficoltà a dire gli stati giusti. Succede però che questo staterello con un Pil che non arriva ai 2mila dollari l’anno procapite, si ritrovi una squadra di calcio altrettanto sconosciuta, il Kuruvchi di Tacklent, che decide di offrire 40 milioni di euro per un giocatore: il camerunense Eto’o. Il giocatore rifiuta perché ha 27 anni e preferisce giocare, finchè ce la fa, in squadre più in vista. Scelta lodata da tutti, al punto che un giornale, La Stampa, ha titolato: “L’uomo che ha sputato su 40 milioni di euro”. Ecco, il dado è tratto e il mito creato. Alla storia passerà come il giocatore che ha rifiutato un lautissimo ingaggio. Una volta faceva notizia il ricco che dava i soldi al povero. Oggi fa notizia il ricco che decide di non essere ancora più ricco.

UN CALCIO ALLA MATEMATICA

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Ogni tanto qualcuno ci prova: cerca di trattare il calcio come matematica, branca della scienza infallibile. Ci avevano provato un gruppo di matematici di Liverpool che avevano creato la formula del rigore perfetto, individuandolo in quello di Shearer contro l’Argentina nel 1998. Ora è il turno di altri: utilizzando il sistema di controllo dei missili, il Castrol Performance Index, riescono a sapere tutto di un giocatore in campo. Chilometri, passaggi, movimenti, tiri in porta. Si tratta di un software infallibile, così dicono, già applicato negli ultimi Europei. È triste ridurre il calcio a matematica dei numeri: tot palloni giocati, tot falli… Come non rimpiangere i tempi di Osvaldo Bagnoli che diceva ai suoi: “i difensori facciano i difensori, i centrocampisti stiano a centrocampo, gli attaccanti facciano gol”.

LA DACIA ELEGANTE

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Ieri sera nel parco Panzini di Bellaria Dacia Maraini ha presentato il suo ultimo libro, “ Il treno dell’ultima notte ” (Rizzoli, 2008). Già il posto meritava di suo: una piana a luci soffuse, un piccolo palco non invadente, anzi invitante, e sullo sfondo a sfoggiare la storica Casa rossa di Alfredo Panzini. Poi l’autrice, davvero brava: colloquiale, mai una parola fuori posto, sempre a chiudere con un “grazie della sua domanda” nel dialogo col pubblico. Sarà per la saggezza maturata nel corso degli anni, sarà per uno stile che le è connaturato. Quello che però mi ha colpito di più è stata una certa eleganza della ragione. Trasferita nel suo racconto del libro, che narra la storia di una ragazza (Amara) sulle tracce di un vecchio amico d’infanzia internato in un campo di concentramento. Si ritrova così alle prese con un passato scomodo, il totalitarismo nazista, e un presente altrettanto da incubo, l’altro totalitarismo, quello comunista, con i tank sovietici che invadono Budapest nel

UOMINI O CAPORALI?

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Lunedì sera alla televisione, ovviamente su La 7 (uno dei pochi canali che ancora dà film), in prima serata è andato in onda il film di Camillo Mastrocinque, “Siamo uomini o caporali?”. Pellicola famosa, del 1955. Celebre per un grande Totò che divide gli uomini in due categorie: quelli che faticano (gli uomini), quelli che comandano e quindi fanno faticare (i caporali). Sono passati cinquant’anni e quella divisione è ancora valida. Anzi, oggi sembra ancora più accentuata. Meglio ancora, affinata: non più solo quelli che faticano e quelli no, bensì quelli che guadagnano tanto e quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese. Mai come in questi ultimi decenni si è verificata una forbice così accentuata tra gli stipendi dei quadri alti (dirigenti) e di quelli medio-bassi. E’ la legge del mercato che vige, si dice. Ma com’è possibile che ciò sia avvenuto nello Stato che ospita l’organizzazione sindacale più potente d’Europa? Misteri d’Italia.