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IL BEATLES DEL PALLONE

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Non conoscevo la storia di Luigi Meroni, il giocatore del Torino degli anni ’60. L’ho conosciuta in un bel servizio che gli ha dedicato il programma di Giovanni Minoli, “La storia siamo noi” (visibile sul sito www.lastoriasiamonoi.rai.it ). Bel modo di presentare il calcio. Non limitato al solo giocatore, bensì specchio di un intero periodo. Quello degli anni ’60. Meroni, giovanissimo doveva andare all’Inter, sua madre si oppose (come sono cambiati i tempi!). Andò al Como, Genoa, poi Torino. Portava i capelli come i Beatles, conviveva con una spostata. Non era ben visto nel calcio conformista di allora. I tifosi lo adoravano per la sua estrosità. Lo voleva la Juve, ci fu una mezza rivoluzione in città, rimase granata. Triste il finale della “sua partita”, a 24 anni: fu ucciso investito da un’auto guidata da Attilio Romeo, sul cruscotto aveva la sua foto. Trentatre anno dopo sarà presidente dei granata.

IL COMANDANTE DI VARESI

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Una rapina in un bancomat. Un morto trovato lungo il Po. Un ex comandante partigiano, trovato anch’egli morto in casa, dimenticato da tutti. Tre fatti apparentemente senza collegamento. E invece uniti da un comune filo. A tracciarlo è stato il giornalista Valerio Varesi nel romanzo “ La casa del comandante ” (Frassinelli, 2008, pp. 280), nuova avventura del commissario Soneri. Un commissario salito agli onori delle cronache grazie al serial tv interpretato da Luca Barbareschi e Natasha Stefanenko. Non male il romanzo di Varesi: più thriller poliziesco, anziché giallo. Soprattutto nell’amalgamare la storia con il paesaggio, quello della Bassa emiliana, contraddistinto dal lento fluire del Po. Se non ci fosse di mezzo quel fiume parrebbe di essere di fronte a un romanzo di Simenon, tanto sono cupe le atmosfere, nebbiosi i paesaggi. Nella storia non mancano alcuni riferimenti all’oggi, come l’avversione per lo straniero e il modo ribelle di leggere la società attuale.

IL FEDERALE

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Uno dei pochi canali che ancora non ha abdicato nella programmazione dei film è La 7. Non solo continua a darli, addirittura lo fa in orari “accessibili”. Finanche il sabato con la bella iniziativa “La valigia dei sogni”, sul cinema italiano. Per esempio ieri sera c’è stato “Il Federale” per la regia di Luciano Salce con Ugo Tognazzi. Realizzato nel 1961 è uno dei primi film del dopoguerra a parlare del ventennio fascista. Lo fa sotto forma di commedia all’italiana, mischiando il riso alla riflessione. Non è un film di denuncia, né tanto meno documentarista, bensì di satira. D’altronde come non sorridere di fronte a un fascistello fanatico (Tognazzi) che corona il sogno di divenire federale proprio quando il fascismo cade. Come se Berlusconi venisse riconosciuto uno statista tutto tondo proprio in letto di morte. Dimenticavo, qui siamo alla fantascienza pura.

L'ANTIGONE MODERNA

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Le leggi, l'ordine, le regole, al di sopra di tutto. Addirittura prima dell'uomo stesso. Decisamente bella la pellicola “I cannibali” per la regia di Liliana Cavani. È stata presentata al San Biagio a Cesena in chiusura della rassegna sul '68. Era presente la regista, piuttosto scorbutica e scontrosa. Irritata alle domande. Non so se per timidezza o per carattere (propendo per la seconda). So invece che “I cannibali” è stato un film bellissimo. Realizzato nel 1969, indirettamente parla delle rivolte dell'anno prima. La storia: una città sommersa di cadaveri di giovani ribelli, lasciati marcire in strada, esempio “educativo” per tutta la popolazione. Un conformismo di indifferenza generale, spezzato dalla giovane Antigone (chiaro riferimento a Sofocle), decisa a dare una degna sepoltura al fratello. Tra le tante tragedie, il film si chiude con una speranza. Musiche di Morricone, notevole Tomas Millian.

IL PORTIERE DEGLI ULTIMI

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Si chiamava “Era 77”. Si chiamava perché ora non c’è più. Era l’associazione di Astutillo Malgioglio, personaggio ricordato per il nome di battesimo un po’ un strampalato, dalla carriera calcistica non stellare ma neanche da buttare. Malgioglio fece parlare di sé perché fu tra i primi a coniugare l’impegno sportivo con l’azione sociale. “Era 77” aiutava i bambini distrofici. Oggi non c’è più perché i soldi sono finiti, la salute di Malgioglio non è più quella di un tempo e il calcio dimentica in fretta chi esce dai binari del binomio “successo-veline”. Se avesse fatto il commentatore tv o l’allenatore oggi sarebbe ancora sulla cresta dell’onda. Ha scelto un’altra strada. Più silenziosa. Dopo una burrascosa parentesi negli anni ’80 con la Lazio (i tifosi non gli avevano perdonato l’aver giocato nella Roma), aveva deciso di smettere. Lo chiamò il Trap all’Inter. Vinse lo scudetto del record, vice di Zenga. Una bella soddisfazione.

A FUROR DI PALLE

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Ormai è tutta una questione di “palle”. Per giocare sì, ma anche per vincere. Emblematica La Voce di oggi nelle pagine sportive. Titolo a pagina X: Campedelli: “Con la Spal abbiamo tirato fuori gli attributi”. Vai alla pagina successiva (XI): Fabbri: “Mancano cuore e attributi”. Campedelli è il giovane presidente del Cesena, Fabbri quello del Ravenna. Evidente che il primo ha vinto – e che vittoria, contro la Spal prima in classifica – mentre il secondo ha perso. Animi diversi, dunque. Inquieta però questo modo di titolare, e quindi di vedere il calcio. Tutto si riduce a una questione di “attributi”. Presenti nel caso della vittoria, assenti in caso di sconfitta. Domenica prossima ci sarà Cremonese-Cesena. Nel caso di sconfitta dei bianconeri (mi auguro di no) sulla Voce mi aspetto un: “Ci hanno castrato gli attributi”. E il Ravenna col Venezia: “Palle affogate in laguna”.

UN CALCIO AL SILENZIO

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Se Del Piero fa un gol in fuorigioco, un difensore entra duro su Ibrahimovic, Cassano ne combina una delle sue, le telecamere si scaldano. Così come il pubblico, degno erede del paese dei guelfi e dei ghibellini. Se però due giocatori in macchina dopo la partita, vengono affiancati da un’auto con sei persone incappucciate pronte a tagliargli la strada, farli uscire e prenderli a calci e pungi, la cosa passa sotto silenzio. Giusto qualche riga di giornale, accompagnata dalla solita manfrina “non si può andare avanti così”. Tutto questo è avvenuto domenica scorsa, a due giocatori dello Stabia (Alex Brunner nella foto, e Alessandro Radi), dopo la partita Juve Stabia – Lanciano, vinta dagli ospiti per due reti a zero. Stessa sorte all’allenatore campano, Massimo Morgia, colpito durante la gara da una bottiglia in testa. Nessuno dei tre vuole più rimettere piede a Castellamare. Questo ovviamente non fa notizia. Meglio il tatuaggio di Cannavaro: addirittura è finito in un quiz di Carlo Conti

LE INVASIONI BARBARICHE

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Decisamente bello il film “Le invasioni barbariche” per la regia di Denys Arcand. Premio Oscar quale miglior film straniero nel 2003, è stato riproposto alcune sere fa in televisione, ovviamente in orario impossibile (e quindi, per forza di cose, da registrare). La storia si svolge a Montreal, ed è quella di un professore cinquant’enne in punto di morte. Donnaiolo, socialista, in polemica col mondo e coi figli. Grazie a questi trascorre gli ultimi giorni di vita insieme agli amici, con cui ha condiviso migliaia di avventure. Scopriamo così una generazione che ha abbracciato tutte (o quasi) le ideologie di sinistra (marxismo, leninismo, maoismo…) per ritrovarsi delusa, dentro una società occidentale senza Dio e in pieno sgretolamento. Invasa dei barbari, impersonati in un neoliberismo selvaggio e guerrafondaio. Evidente la critica ai vicini americani (il film è canadese), conquistatori del mondo.

OUTLET ITALIA

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L’outlet sembra andare di moda. Sta per svendita di un prodotto commerciale. Il giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, gli ha dedicato un libro: “Outlet Italia” (Mondadori, 208). Un libro illuminante. Alcuni stralci dell’introduzione. “Alcuni outlet sono centri commerciali di nuova generazione, che stanno sostituendo le piazze e i paesi come luogo di incontro; non a caso li fanno come paesi, finti ovviamente”. Ancora: “La svendita delle relazioni tra le persone, il degrado dei rapporti umani, è il fenomeno più importante ma anche il più sottovalutato dell’Italia di oggi. L’outlet segna il trasferimento della vita fuori dai luoghi di sempre, il centro storico, il paese, la chiesa, lo stadio, il cinema, la piazza; e mentre trasforma il centro delle città in deserto, porta i nuovi italiani nelle periferie, nelle multisala, nei parcheggi, nelle vecchie fabbriche dismesse, nei bowling, negli spacci aziendali, nei centri commerciali”.

SUBENDO BECKHAM

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Povero Ancelotti. Era arrivato a Milano per fare l’allenatore, conquistando anche splenditi risultati, oggi si ritrova a fare il vigile (nel senso di smistare il traffico) di star. Prima nella formazione doveva trovare gli equilibri di squadra, oggi deve trovare un modus vivendi tra palloni d’oro e copertine di giornali patinati. Da crescendo rossiniano le ultime in casa Milan: Ronaldinho, Shevchenko e adesso Beckhamp. Per carità, mica di brocchi stiamo parlando. Però se a Madrid (sponda Real) questa politica hanno deciso di abbandonarla visti i disastri, la Milano da bere non poteva starsene con le mani in mano. E infatti ecco la squadra di primedonne. Prendiamo Bekhamp. Da tempo ha smesso di fare il calciatore per l’uomo immagine (di che cosa rimane un mistero). Il suo arrivo oggi è stato salutato da due editoriali: di Giorgio Armani e Dolce&Gabbana. Specchio dei tempi. Gianni Brera dove sei, ritorna tra noi!

IL MADE IN ITALY CHE NON CI FA ONORE

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Il “made in Italy” fa tendenza. Detta mode, piace, ci fa lustro a livello internazionale. Speriamo che il “made in Italy” esportato a Sofia in Bulgaria non faccia altrettanto tendenza. Per la prima volta in una partita della nazionale un gruppo di “tifosi” (le virgolette sono d’obbligo) italiani non solo si è comportato da hooligans mettendo a soqquadro una città; addirittura ha fatto di peggio: ha inneggiato cori al Duce col braccio destro teso, lanciato slogan razzisti, esposto bandiere dal simbolo neonazista. E per non farsi mancare niente si è alleato con un gruppo di naziskin bulgari. Insomma, tutto il peggio della feccia si è ritrovato in Bulgaria. Visto che i biglietti sono nominali non sarà difficile per le autorità arrivare ai colpevoli di siffatta stupidaggine. Colpisce però un dato: questo “tifo” dai club si sta estendendo anche alla nazionale. È la prima volta. Mi auguro che sia l’ultima. Il pessimismo, però, è d’obbligo .

ASPETTANDO UN NUOVO RACITI

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L'avessimo saputo prima, avremmo risolto tutti i problemi. Bastava poco. Scopriamo infatti che la violenza negli stati è tutta colpa dei napoletani. D'altronde non sono sfaccendati e malati di pallone? Non hanno sul comodino la foto di Maradona accanto a quella di San Gennaro? Volevano il capro espiatorio, l'hanno trovato. E in effetti non avendo più la sporcizia per le strade qualcos'altro bisognava pure trovare. Anche i muri sapevano che la partita Roma-Napoli sarebbe stata a rischio. Nessuno però, a monte, ha fatto niente. Ma quello che stupisce è l'ennesimo coro di buoni propositi: “non succederà più”; “linea dura coi violenti”; “bisogna fare come in Inghilterra”. Non una parola al reale problema della violenza: il tifo organizzato. E il loro connubio con le società. Da noi si parla di tornelli, stewart, carte del tifoso... In attesa di un nuovo Raciti.

E LI CHIAMANO PASSI IN AVANTI

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C’era da aspettarselo. Prima o poi si sarebbe arrivati a ciò. Domenica prossima niente calcio in chiaro. Lo si potrà vedere solo sulle piattaforme a pagamento. “Una svolta epocale” l’ha definita il critico tv Aldo Grasso. Un deciso passo indietro, dico io. La televisione è arrivata al colpo mortale del “prodotto calcio”. Ritornare ai tempi di “90° minuto” versione Paolo Valenti è impossibile. Arrivare al nulla di oggi una follia. Lo sport più popolare d’Italia dovrebbe rimanere di tutti e garantire fasce in chiaro al grande pubblico. I padroni del vapore non la pensano così. Già si permettono di avere sempre meno gente allo stadio (lo possono fare visto che i biglietti incidono per il 20% dei loro bilanci). Ora si prendono il lusso di averne meno in tv. Ma non pensano che il giochino prima o poi si potrebbe rompere? No, non ci pensano. Sono troppo presi dai super stipendi di Ibrahimovc, Del Piero e Ronaldinho.

BAGGIO, QUANDO LA CLASSE NON TRAMONTA

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Davvero bello l’articolo di Ivan Zazzaroni pubblicato oggi su “La Repubblica” dedicato a Roberto Baggio. Un campione uscito in punta di piedi dal mondo pallonaro. Non si è riciclato da procuratore-allenatore-osservatore-commentatore (la lista potrebbe continuare per un pezzo), come avviene nella triste “normalità” degli ex di oggi. No, ha deciso di starsene nella sua terra, la provincia vicentina, coltivando i suoi hobby. “Sto bene, sul serio. Questo che vedi è il mio mondo, la casa, il prato, il bosco, il capanno, gli uccelli, il magazzino. Non credo che potrei azzerare tutto per risalire sulla giostra, oggi”. Aggiungendo: “Quel che dovevo fare l'ho fatto, al calcio ho dato tutto me stesso”. Da applausi. In campo e fuori. Campioni non lo si è per caso. La classe non sta solo nei piedi ma anche nelle scelte di vita.

MUGHINI A ME M’E PIACE

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Assistere alla presentazione di un libro di Giampiero Mughini è come essere allo stadio. Tifoseria da curva, applausi che scrosciano, voci del pubblico che si susseguono, e alla prima provocazione la sua reazione non si fa attendere. Così è stato sabato pomeriggio al Bagno Milano a Cesenatico alla presentazione del suo “ Juve. Il sogno che continua ” (Mondadori). Terrazza stracolma di gente di tutte le età, macchinette fotografiche pronte a immortalare il giornalista, accenti più diversi, e un unico comun denominatore: la fede juventina. Che Mughini ha difeso a spada tratta, parlando della triade (Bettega, Giraudo, Moggi) come della più grande dirigenza della storia bianconera. Difficile essere d’accordo con lui. Nel contempo, da interista convinto, difficile non provare simpatia per Mughini. È uno che piace o non piace. Le mezze misure non ci sono. Prendendo a prestito Proietti, “a me m’e piace”.