Nostalgia tatuata

Un tempo era il marchio di una tribù, quella dei carcerati. Oggi è divenuto uno status symbol. Così va il mondo, i tatuaggi si adeguano. Qualche tempo fa una copertina di Sportweek aveva fatto specie: il riminese Matteo Brighi era ritratto a petto nudo, senza niente d’inchiostro addosso. L’anticonformismo vive anche di piccoli gesti, il suo ne era un esempio. Tutto il contrario di Antonio Mirante, 26 anni, portiere del Parma. Lui li mette in mostra e se ne vanta: “Ho quattro tatuaggi, questo in particolare (sul braccio sinistro, nda) mi aiuta a non sentire la nostalgia. I miei genitori vivono a Castellamare di Stabia” (Gazzetta dello Sport, 12.12.2009). Il calciatore oggi dice di tutto di più (stupidaggine più e/o meno), il lettore registra senza batter ciglio. Anche quella della lontananza da casa che oggi si batte con un tatuaggio o con lo “you and me” di Vodafone. Giulio Onesti parlava di “ricchi scemi”, riferendosi ai presidenti. Mi sa che oggi sono da un’altra parte.
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