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Il minuto di silenzio, Garanzini

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"Il minuto di silenzio", Romagna Gazzette Giugno 2020 Non so in quanti ci hanno fatto caso ma negli stadi così come nei palazzetti il silenzio è sempre più merce rara. Un po’ come nelle spiagge dove se non c’è qualcuno che ti popone un po’ di animazione, il luogo viene bollato come “cadaverico”. D’accordo, i luoghi dello sport sono posti affollati, il rumore quindi c’è sempre stato. Magari un tempo c’era lo speaker che leggeva gli sponsor (al Manuzzi di Cesena gli occhiali di Visani sono passati alla storia), prima della gara e nell’intervallo. Negli ultimi anni però l’effetto discoteca prevale un po’ su tutto, dall’annuncio del marcatore alla musica a volume altissimo che mi chiedo spesso come facciano i coach a parlare con i loro giocatori nelle palestre.  Vabbè, tutto sto pippone moralistico d’un cinquantenne d’antan per dire una cosa: non riusciamo a rimanere in pace neppure nel minuto di silenzio, quello che un tempo serviva per pregare o riflettere sul personaggio scomp

Rolling Stone, su Summertime sbagli

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Non concordo con la stroncatura  di Marianna Tognini su  Summertime di Netflix  ( qui per vedere di cosa si tratta ). La rivista sbaglia perché si approccia in maniera manichea: bello-brutto. Le mezze misure non le ammette. L’errore è tutto qui.  Non concordo con una riviera d’autore raccontata da Fellini, Zurlini e Risi, e un’altra da filmetti come Rimini Rimini ( Rimini Rimini un anno dopo non lo cito per pudore). Mi dispiace, ma non ci sto. Tra i due estremi, così come nella vita, c’è sempre un terra di mezzo, ed è il caso di Summertime . Senza farla troppo filosofica, la serie non è altro che una storia di adolescenti per adolescenti, niente di più. È vero, la trama non eccelle per originalità ma il racconto dei giovincelli in una località turistica come Cesenatico nel pieno dell’estate è poi così diverso dalla realtà? Secondo me no, anzi è più realistico di tante inutili indagini sociologiche che ci invadono e nessuno legge. Le amicizie, gli amori, la musica, il mare… nelle lo

Wasp Network

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Merita di essere visto Wasp Network il film di Oliver Assayas uscito in questi giorni su Netflix. Presentato lo scorso anno al Festival del Cinema di Venezia, la storia si basa sulla mitizzata vicenda dei “cuban five”, cinque personaggi infiltrati dai castristi nelle organizzazioni eversive di esuli a Miami.  L’impero sovietico è crollato, la forte lobby con base nella città della Florida pensa sia giunto il momento di una spallata al regime comunista. Dà così inizio a una serie di azioni terroristiche per mettere in ginocchio il turismo, tra le principali voci della bilancia commerciale cubana, senza farsi scrupolo di trafficare con droga e arruolare mercenari per arrivare allo scopo. Non conoscevo la storia e neppure il film di cui devo ringraziare Il Venerdì di Repubblica che ha dedicato una intervista al regista (“Le spie che vennero dal caldo”). Evidenti le complicità del governo americano, molto sensibile al peso elettorale della lobby cubana negli States. Ma al di là

Amarcord bianconero, Ferrero

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"Amarcord Bianconero", Romagna Gazzette febbraio 2020 Sono lontani gli anni del mondo letterario che guardava con sospetto lo sport considerato prodotto di quarta serie, un po’ come venivano visti i gialli. Sono tanti infatti gli scrittori la cui penna ha intinto ispirazione nell’epopea della fatica e del bel gesto atletico, raccontato sotto forma di prosa o di poesia. Tra questi va annoverato il Premio Strega anno 2000, Ernesto Ferrero , autore dell’agile volumetto “ Amarcord bianconero ” (Einaudi). I colori sono quelli della Juventus, incontro per lui fatidico quasi dettato dal padre portiere nelle giovanili e dalla frequentazione del giovane Ernesto del celebre liceo D’Azeglio, istituto che ha visto nascere la squadra. L’utilizzo del nome “amarcord” di felliniana memoria rende bene l’idea dell’intensità delle pagine che corrono sul filo del passato quando il calcio anni 50’ e ’60 era soprattutto scritto e parlato, e proprio per questo ancora tanto immaginato. “

"InDimenticabile", Montanari e Guiducci

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“L’inDimenticabile stagione del Cesena”, Romagna Gazzette luglio 2019 Se la geografia non è mai stata il vostro forte, un salutare ripasso direzione Centro Italia, lato costa mare Adriatico, l’ha data il recente passato del Cesena calcio. Abituati ai palcoscenici di Scala e Olimpo del calcio (che conta), nel volger di poco tempo ci si è ritrovati in stadi dove rizollatura non sempre coincideva con la parola erba, le tribune non erano le magnifiche oasi di visuale, un contorno di elementi in teoria di secondo piano hanno finito per avere la meglio su tutto il resto. Per capirci: una cavalcavia trasformato in tributa improvvisata, una panda geneticamente modificata in frigo bar, un personaggio abbarbicato su una scala per vedere la partita da un vicino palazzo, una telecronaca divenuta radiocronaca per cause di forza maggiore. Poi per carità, il campo è pur sempre rettangolare, per vincere bisogna essere più bravi, fare gol coincide con la palla che gonfia la rete, il tifo massic

"Sportivo sarà lei", Viola

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"Sportivo sarà lei", Romagna Gazzette giugno 2019 Si chiamava Beppe Viola. Ei fu grande giornalista, 21 anni in Rai a raccontar sport. Su questo la critica non diverge. Ai tempi d’oggi ce lo ricorda un torneo di calcio che porta il suo nome, alcuni della categoria che cercano di imitarne le gesta, qualche libro che ogni tanto spunta fuori, tra racconti, articoli e testimonianze. Uno degli ultimi è “ Sportivo sarà lei ”, lo ha editato Quodlibet due anni fa (pag. 240, euro 17) e riporta anche gli scritti di Marco Pastonesi, Giorgio Terruzzi e soprattutto di una delle quattro figlie Marina Viola. Dire che oggi c’è tanto Beppe Viola in giro pare persino riduttivo. Il problema è che Beppe c’è dappertutto, come le lapidi a Garibaldi, gli intramontabili repubblicani in Romagna, la Notte rosa i primi di luglio. Peccato solo che manchi nell’unico posto di cui andrebbe fiero: lo sport. O meglio, lo sport raccontato in un certo qual modo.  Dimentichiamo la celebre intervista

"L'ombra del campione", Crovi

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"L’ombra del campione", Romagna Gazzette febbraio 2019 Difficile catalogare il romanzo di Luca Crovi , “ L’ombra del campione ” (Rizzoli editore, 2018) sotto l’insegna del giallo. È vero, c’è un commissario che indaga, e l’autore scomoda persino Carlo De Vincenzi, uno dei primi questurini del poliziesco italiano, inventato in piena epoca fascista dalla penna dello scrittore Augusto De Angelis (chi non lo conosce si legga i suoi piacevoli romanzi, di recente sono stati tutti rieditati).  Ma un omicidio vero e proprio non c’è, se non un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1928, in quella che è stata definita la “strage in piazzale Giulio Cesare” a Milano. Re Vittorio Emanuele III doveva inaugurare la fiera campionaria, una bomba scoppiò lasciando sul campo più di un innocente. Siamo in epoca fascista, quella dell’ordine e dei treni in orario, quella che non ammette oppositori, quella che guarda al calcio quale strumento al servizio del regime.  E qui compare l’

“Il resto della settimana”, De Giovanni

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“La Napoli del calcio”, Romagna Gazzette novembre 2018 Per capire cosa rappresenti il calcio per Napoli ci sono due modi. Avere la fortuna di avere un amico tifoso che ti accompagni al San Paolo (si può andare anche da soli, ma non è la stessa cosa). E se questa fortuna non è di tutti, passare al piano B: leggere il libro di Maurizio De Giovanni “ Il resto della settimana ” (Rizzoli). Uno dirà che sto esagerando. E invece proprio no, non la sto sparando grossa. Lo dico per esperienza personale, ritrovatomi nei distinti del San Paolo abbracciato da uno sconosciuto che stava piangendo per il secondo gol del Napoli al Cesena. Per la cronaca la squadra era in serie B, gli spettatori erano oltre 40 mila!  Andare nella città partenopea è immergersi in un mondo speciale dove c’è poco da stupirsi nel vedere le immagini di San Gennaro al fianco di Lui (attenzione a nominarlo) nelle case di tutti. Un mondo che racconta il bellissimo libro scritto da uno dei giallisti più celebri d’I

"Se non c'ero io", Biscardi

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"Il Biscardismo", Romagna Gazzette ottobre 2018 Se è vero che la Scienza in Cucina dell’Artusi ha fatto di più dei Promessi sposi per l’unità d’Italia, sosteneva Piero Camporesi, ancora da studiare è l’influsso del biscardismo sulla lingua italiana. Neppure gli Accademici della Crusca riuscirebbero a dare una risposta definitiva in merito. Indicativa sì, risolutiva no. Troppo devastante è stato l’impatto di quella chioma rossastra, che ha trasferito la chiacchiera da Bar Sport nel domicilio dei tifosi.  Biscardi è stato come quei filmetti con Alvaro Vitali ed Edwige Fenech, sbertucciati dalla critica, ma amati da milioni di spettatori, che li hanno assurti a romanzo di formazione. Una coscia, una tetta, una battuta volgare attirano: il Processo ha portato la pornografia del linguaggio dentro il pallone. Tra i suoi cult la celebrità rimane questa: “la sequenza filmata della pornostar che si è esibita nuda allo stadio di Piacenza non è pronta. Gli operatori la stan

"Calcio sopra le barricate", Caremani

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"Il calcio barricadiero", Romagna Gazzette settembre 2018 Il ’68 nel calcio, quello della “fantasia al potere”, non è nato Italia. Neanche nella patria del pallone, l’Inghilterra, e neppure in Germania o in Spagna. E’ nato in un posto che non ha conosciuto rivolte studentesche e neppure quelle operaie: l’Olanda. È un luogo dove si “insegnano un mondo e una morale incomprensibili agli altri”, ha scritto Mario Sconcerti. Un mondo passato alla storia come “calcio totale”. Una incredibile generazione di talenti uniti da un’idea nuova. Una rivoluzione culturale che non mieterà successi, se non di club (Ajax), ma cambierà per sempre il volto al gioco. E mentre gli olandesi erano in preda alla loro sconvolgente scoperta, cosa facevamo noi italiani in quei convulsi anni? Vincevamo gli Europei. Il nostro 68 è stato questo. Una vittoria, l’unica in questa competizione, incredibilmente passata nel dimenticatoio, annichilita da una storica partita come Italia Germania 4-3 due ann

"Cesenatico. Processo al calcio", Musi

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“Il Processo al calcio a Cesenatico”, Romagna Gazzette luglio 2018 Scrivi processo al calcio e subito pensi ad Aldo Biscardi. Sì, quello degli “sgub” e della moviola in campo (profeta della Var), quello che “fa errori di grammatica anche quando pensa” (parola di Beppe Grillo, quando ancora era un comico), quello del “non parlate in più di tre o quattro per volta che sennò non si capisce niente” (Biscardi docet). Il Processo in realtà ha avuto un altro inventore, addirittura un romagnolo purosangue: il Conte Alberto Rognoni. Siamo nella metà degli anni Sessanta, Cesenatico era la meta estiva del Conte, il suo capanno sul porto era qualcosa di più di un semplice luogo dove pescare. Qui, nella ridente città del grattacielo prende corpo l’idea di un Processo, con accusa e difesa che si confrontano, e una giuria a sentenziare.  Sono gli anni della Perry Mason mania, e infatti l’evento estivo mutua lo stile del grande avvocato americano. Sin qui di originale sembra esserci poco. E

"Storie Mondiali", Buffa e Pizzigoni

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"Il lungo racconto dei Mondiali", Romagna Gazzette giugno 2018 Alcune settimane fa ci ha lasciato Arrigo Petacco, uno dei più grandi divulgatori di storia per il grande pubblico. Al di là di alcune teorie un po’ bizzarre (vedi delitto Matteotti e la sua convinzione che Mussolini non c’entrasse nulla), rimane la sua grande capacità di comunicatore a una vasta platea su un argomento in genere ostico, come la storia. Petacco era uno degli ultimi epigoni di giornalisti dediti al racconto storico che ha annoverato personaggi di razza come Indro Montanelli, Enzo Biagi, Silvio Bertoldi, Giorgio Bocca, Gian Franco Venè, solo per fare alcuni nomi.  Il nome di Petacco mi è venuto in mente leggendo il bellissimo libro di Federico Buffa , scritto insieme a Carlo Pizzigoni , “ Storie Mondiali ”. Siamo nel mese del Campionato del Mondo, e questo è un libro che ognuno dovrebbe quanto meno sbirciare per capire un po’ del percorso che c’è dietro a una delle manifestazioni sportiv

“Donne, wodka e gulag”, Marco Iaria

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"Streltsov, il Majakóvskij del pallone", Romagna Gazzette, Aprile 2018 Impossibile anche solo immaginare, la fantasia al potere in un regime che aveva fatto della burocrazia e dell’assenza di libertà il suo tratto dominante. Tanto più in un gioco ove l’individuo era considerato parte di un ingranaggio collettivo, specchio della superiorità di un modello ideologico. Il calcio nella Russia sovietica è stato soprattutto questo: non un divertimento, ma un mezzo per la costruzione del socialismo. Il giocatore, un soldato irreggimentato al servizio della causa. Guai a uscire da questi rigidi schemi, farsi avanguardia di creatività.  Ne ha saputo qualcosa Eduard Streltsov , il Majakóvskij del pallone della metà degli anni ’50, caduto nelle terribili grinfie del Pcus. Chi sfoglia una qualsiasi antologia russa con i campioni del pallone, non troverà il suo nome. Vedrà quelli del celebre Jascin, dell’attaccante Blokhin, di Streltsov nessuna traccia. Perché nel bel mezzo del

La nuova vita dell’Albana

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“La nuova vita dell’Albana”, Corriere Romagna 22 aprile 2018 In Romagna i vitigni si estendono su 887 ettari, solo vent’anni fa erano oltre 2000. Parliamo di un vino in declino? Tutt’altro. Perché se c’è un “nettare” nel pieno di una “nuova era” (parola di Roberto Giorgini, Presidente Ais Romagna) è proprio l’Albana. Il simbolo identitario per eccellenza del vino romagnolo, è stato protagonista di una degustazione guidata a Vinitaly.  A condurla Giovanni Solaroli e Vitaliano Marchi, autori del volume fresco di stampa “Albana” (Ponte Vecchio, p. 168, euro 15,00). Otto le Albana in degustazione, sei nella versione secca, due passita: “I croppi” 2017 cantina Celli di Bertinoro, “Corallo giallo” 2017 Gallegati nel faentino, “Valleripa” 2016 di Tenuta Casali di Mercato Saraceno, “Santa Lusa” 2014 Ancarani, “Vitalba” 2016 Tre Monti Imola, “Codronchio” 2015 Fattoria Monticino Rosso Imola, “Domus Aurea” 2016 Ferrucci Castel Bolognese, “Scacco matto” 2013 Fattoria Zerbina Faenza. Un e

Dallo scudetto ad Auschwitz

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" Dallo scudetto ad Auschwitz", Romagna Gazzette Marzo 2018 Due cose stupiscono della vicenda di Arpad Weisz . La prima: il repentino passaggio dalle stelle del successo calcistico all’inferno di un campo di concentramento ad Auschwitz, quattro anni in tutto. Secondo: l’oblio sul suo nome. Malgrado tre scudetti con due squadre diverse (Inter e Bologna), allenatore più giovane a vincere il titolo italiano, il suo nome è finito pressoché nel dimenticatoio. “Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito”, scrisse Enzo Biagi, ammettendo di non sapere che fine avesse fatto uno degli allenatori di punta del calcio italiano anni Trenta. A riportarlo d’attualità ci ha pensato il giornalista Matteo Marani autore di un volume di successo, “ Dallo scudetto ad Auschwitz”, dove ha seguito passo dopo passo l’incredibile vicenda di colui che lanciò nel grande calcio il giovanissimo Meazza. Due le ragioni che hanno portato Marani sulle