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I milanesi perbene di Scerbanenco ammazzano il sabato

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Dopo la rosticceria ( vedi post precedente ) avevo bisogno di tornare a gustare qualcosa di buono che mi riconciliasse con il gusto della lettura. Per le mani non poteva capitarmi di meglio se non Giorgio Scerbanenco con il classico “ I milanesi ammazzano al sabato ”. Il contesto è la Milano abbietta dalla prostituzione, dei pappa che non si fanno scrupoli nello sfruttare deboli di qualsivoglia categoria, persino malati di mente pur di fare soldi. La città è il motore dell’Italia del boom economico anni ’60. Scerbanenco scava laddove lo sfavillio non c’è, nel punto ove il benessere arriva solo per lontani echi. “La civiltà di massa ha questo pregio, che ciascuno può annegare liberamente senza che gli altri gli diano fastidio nel tentativo di salvarlo”. È una città che lavora, sempre all’opera, talmente indaffarata da regolare i conti personali con il malaffare il sabato perché gli altri giorni non può permettersi di staccare dall’ufficio. Le brave persone durante la settimana fanno

Se il commissario è un intrattenitore

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Da sempre la letteratura, o presunta tale, ha annoverato filoni dedicati all’intrattenimento. Storie fini a sé stesse, fatte di sola trama, per tenere vivo il filo di un discorso dalla facile dipanatura. La semplicità di queste storie in genere sta nell’assenza di indagine psicologica dei personaggi e in un dipinto ambientale pari allo zero. È pura storia e basta. Per altri ingredienti passare più tardi, se si trova aperto. In questo genere vanno annoverato numerosi gialli, o polizieschi che si dica: racconti di fatti, spesso senza un nesso apparente e invece concatenati secondo una strana logica delinquenziale. Tra questi vanno inquadrati i romanzi della prolifica Maria Masella . In questi giorni mi è capitato di leggere “ Matematiche certezze ” (Fratelli Frilli editori), scritto a quattro mani insieme a Rocco Ballacchino. La doppia firma sta nell’ambivalenza della ambientazione della storia, tra Genova e Torino. Nella città marinara indaga Antonio Mariani (Masella), in quella sab

Processo ai Vitelloni, secondo me finisce così…

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Sono curioso di vedere come andrà a finire. I processi li ho seguiti tutti, alcuni erano dall’esito prevedibile, altri un po’ meno. Quello di lunedì, parere personale, è tra i più incerti che ci siano. Se in platea ci sarà un parterre femminile, il risultato sarà per la condanna piena. Se fosse maschile la questione si farebbe più incerta. Tenuto conto che i posti sono la metà degli altri anni, determinante sarà chi si siede e avrà la paletta in mano. Solo due mesi fa quando Miro aveva annunciato il tema non avevo dubbi su come sarebbe andata a finire. A farmi cambiare idea sono stati alcuni articoli usciti sulla stampa a difesa dei Vitelloni. Il più clamoroso è quello di Pupi Avati sul Corriere della Sera, con tanto di richiamo in prima. A seguire quello di Steve Della Casa sul Corriere Romagna. Avati l’ha messa sulla giovinezza spensierata, sulla cultura del tempo che ti imponeva di essere maschio con leggerezza. Della Casa ha fatto un’analisi del film di Fellini con quei Vitello

Bravo Marescotti su Lello

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Ma quanto è bravo Marescotti. Ancora più bravo in un incontro dalle premesse impari, davanti a un gigante come Lello Baldini. L’attore di Bagnacavallo furbescamente all’inizio dello spettacolo ha messo le mani avanti: “Baldini è uno dei migliori lettori al mondo, confrontarsi con lui è perdere in partenza”. Giusto. Solo che se hai i numeri il confronto lo reggi. E succede come l’altra sera a Cesenatico al Largo Cappuccini (rassegna di Casa Moretti) dove te ne stai due ore ad ascoltarlo e non te ne accorgi. Potevano passare altre due ore e pochi o nessuno avrebbe sbadigliato. Sono diversi gli ingredienti del successo in serate come quelle. Un po’ sono i testi di Lello. Per il 90% strappano il sorriso, ma nel senso pirandelliano del termine: hanno un doppio fondo, fanno riflettere, il tragico non manca. Baldini non ha avuto solo il grande merito di avere nobilitato il dialetto romagnolo in senso culturale, ma lo ha fatto raccontando fatti del quotidiano, frammenti di vita che solo un p

Adalgisa, la lady di ferro

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Ci sono personaggi letterari che finiscono per prevalere sui loro autori. Il nome del protagonista delle pagine finisce per oscurare chi lo ha inventato. È il caso di Adalgisa Calligaris l’ispettore nato dalla fantasia della brava  Alessandra Carnevali . Mi sono letto d’un colpo i primi tre libri della serie, tutti targati Newton Compton: Lo Strano caso del commissario Calligaris , Omicidio a Villa Rovelli , Il giallo di Palazzo Corsetti . Devo dire che me li sono bevuti a fiatello, come non si dovrebbe fare quando si ha un vino che piace. L’ambientazione è in Umbria nel paesino di Rivorosso. Il commissario è la classica sfigata degli anni giovanili (grassa, bassa, secchiona), divenuta una “leonessa” grazie a una forza di volontà e una tenacia non comuni, che l’hanno vista scalare posizioni nella polizia. Adalgisa è acida, poco incline allo scherzo, pronta alla battuta tranchant, parla poco di sé, ma ha un muscolo sempre in funzione: il cervello. È il classico personaggio che rive

Olivieri, purtroppo dimenticato

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Ho terminato da poco “ La fine di Casanova ”, terzo libro di una personale trilogia di Renato Olivieri , acquistata per caso in un mercatino dell’usato a Bologna lo scorso novembre. Sotto mano mi sono finiti I l caso Kodra , Villa Liberty e il già citato Casanova. D’un colpo li ho fatti miei e neanche 10 euro e senza trattativa (sotto quei tendoni si sa che si va in contrattazione).  Di Olivieri mi aveva colpito alcuni anni fa la sua “tecnica” di scrittura. Se ne andava tutto solo in un appartamento a Milano e lì, in quel rifugio, scriveva i suoi romanzi. È stato un padre del giallo e come spesso avviene è finito nel dimenticatoio. Oggi che il genere viaggia al ritmo di una pizzeria d’asporto in pieno centro, sarebbe il caso di riscoprire la sua grandezza, e magari risarcire il suo vice commissario Ambrosio dalla pessima performance televisiva interpretata da Ugo Tognazzi parecchi anni fa. Olivieri si inserisce perfettamente nella scuola italiana d’altro profilo del genere: il gia

Il minuto di silenzio, Garanzini

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"Il minuto di silenzio", Romagna Gazzette Giugno 2020 Non so in quanti ci hanno fatto caso ma negli stadi così come nei palazzetti il silenzio è sempre più merce rara. Un po’ come nelle spiagge dove se non c’è qualcuno che ti popone un po’ di animazione, il luogo viene bollato come “cadaverico”. D’accordo, i luoghi dello sport sono posti affollati, il rumore quindi c’è sempre stato. Magari un tempo c’era lo speaker che leggeva gli sponsor (al Manuzzi di Cesena gli occhiali di Visani sono passati alla storia), prima della gara e nell’intervallo. Negli ultimi anni però l’effetto discoteca prevale un po’ su tutto, dall’annuncio del marcatore alla musica a volume altissimo che mi chiedo spesso come facciano i coach a parlare con i loro giocatori nelle palestre.  Vabbè, tutto sto pippone moralistico d’un cinquantenne d’antan per dire una cosa: non riusciamo a rimanere in pace neppure nel minuto di silenzio, quello che un tempo serviva per pregare o riflettere sul personaggio scomp

Rolling Stone, su Summertime sbagli

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Non concordo con la stroncatura  di Marianna Tognini su  Summertime di Netflix  ( qui per vedere di cosa si tratta ). La rivista sbaglia perché si approccia in maniera manichea: bello-brutto. Le mezze misure non le ammette. L’errore è tutto qui.  Non concordo con una riviera d’autore raccontata da Fellini, Zurlini e Risi, e un’altra da filmetti come Rimini Rimini ( Rimini Rimini un anno dopo non lo cito per pudore). Mi dispiace, ma non ci sto. Tra i due estremi, così come nella vita, c’è sempre un terra di mezzo, ed è il caso di Summertime . Senza farla troppo filosofica, la serie non è altro che una storia di adolescenti per adolescenti, niente di più. È vero, la trama non eccelle per originalità ma il racconto dei giovincelli in una località turistica come Cesenatico nel pieno dell’estate è poi così diverso dalla realtà? Secondo me no, anzi è più realistico di tante inutili indagini sociologiche che ci invadono e nessuno legge. Le amicizie, gli amori, la musica, il mare… nelle lo

Wasp Network

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Merita di essere visto Wasp Network il film di Oliver Assayas uscito in questi giorni su Netflix. Presentato lo scorso anno al Festival del Cinema di Venezia, la storia si basa sulla mitizzata vicenda dei “cuban five”, cinque personaggi infiltrati dai castristi nelle organizzazioni eversive di esuli a Miami.  L’impero sovietico è crollato, la forte lobby con base nella città della Florida pensa sia giunto il momento di una spallata al regime comunista. Dà così inizio a una serie di azioni terroristiche per mettere in ginocchio il turismo, tra le principali voci della bilancia commerciale cubana, senza farsi scrupolo di trafficare con droga e arruolare mercenari per arrivare allo scopo. Non conoscevo la storia e neppure il film di cui devo ringraziare Il Venerdì di Repubblica che ha dedicato una intervista al regista (“Le spie che vennero dal caldo”). Evidenti le complicità del governo americano, molto sensibile al peso elettorale della lobby cubana negli States. Ma al di là

Amarcord bianconero, Ferrero

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"Amarcord Bianconero", Romagna Gazzette febbraio 2020 Sono lontani gli anni del mondo letterario che guardava con sospetto lo sport considerato prodotto di quarta serie, un po’ come venivano visti i gialli. Sono tanti infatti gli scrittori la cui penna ha intinto ispirazione nell’epopea della fatica e del bel gesto atletico, raccontato sotto forma di prosa o di poesia. Tra questi va annoverato il Premio Strega anno 2000, Ernesto Ferrero , autore dell’agile volumetto “ Amarcord bianconero ” (Einaudi). I colori sono quelli della Juventus, incontro per lui fatidico quasi dettato dal padre portiere nelle giovanili e dalla frequentazione del giovane Ernesto del celebre liceo D’Azeglio, istituto che ha visto nascere la squadra. L’utilizzo del nome “amarcord” di felliniana memoria rende bene l’idea dell’intensità delle pagine che corrono sul filo del passato quando il calcio anni 50’ e ’60 era soprattutto scritto e parlato, e proprio per questo ancora tanto immaginato. “

"InDimenticabile", Montanari e Guiducci

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“L’inDimenticabile stagione del Cesena”, Romagna Gazzette luglio 2019 Se la geografia non è mai stata il vostro forte, un salutare ripasso direzione Centro Italia, lato costa mare Adriatico, l’ha data il recente passato del Cesena calcio. Abituati ai palcoscenici di Scala e Olimpo del calcio (che conta), nel volger di poco tempo ci si è ritrovati in stadi dove rizollatura non sempre coincideva con la parola erba, le tribune non erano le magnifiche oasi di visuale, un contorno di elementi in teoria di secondo piano hanno finito per avere la meglio su tutto il resto. Per capirci: una cavalcavia trasformato in tributa improvvisata, una panda geneticamente modificata in frigo bar, un personaggio abbarbicato su una scala per vedere la partita da un vicino palazzo, una telecronaca divenuta radiocronaca per cause di forza maggiore. Poi per carità, il campo è pur sempre rettangolare, per vincere bisogna essere più bravi, fare gol coincide con la palla che gonfia la rete, il tifo massic

"Sportivo sarà lei", Viola

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"Sportivo sarà lei", Romagna Gazzette giugno 2019 Si chiamava Beppe Viola. Ei fu grande giornalista, 21 anni in Rai a raccontar sport. Su questo la critica non diverge. Ai tempi d’oggi ce lo ricorda un torneo di calcio che porta il suo nome, alcuni della categoria che cercano di imitarne le gesta, qualche libro che ogni tanto spunta fuori, tra racconti, articoli e testimonianze. Uno degli ultimi è “ Sportivo sarà lei ”, lo ha editato Quodlibet due anni fa (pag. 240, euro 17) e riporta anche gli scritti di Marco Pastonesi, Giorgio Terruzzi e soprattutto di una delle quattro figlie Marina Viola. Dire che oggi c’è tanto Beppe Viola in giro pare persino riduttivo. Il problema è che Beppe c’è dappertutto, come le lapidi a Garibaldi, gli intramontabili repubblicani in Romagna, la Notte rosa i primi di luglio. Peccato solo che manchi nell’unico posto di cui andrebbe fiero: lo sport. O meglio, lo sport raccontato in un certo qual modo.  Dimentichiamo la celebre intervista

"L'ombra del campione", Crovi

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"L’ombra del campione", Romagna Gazzette febbraio 2019 Difficile catalogare il romanzo di Luca Crovi , “ L’ombra del campione ” (Rizzoli editore, 2018) sotto l’insegna del giallo. È vero, c’è un commissario che indaga, e l’autore scomoda persino Carlo De Vincenzi, uno dei primi questurini del poliziesco italiano, inventato in piena epoca fascista dalla penna dello scrittore Augusto De Angelis (chi non lo conosce si legga i suoi piacevoli romanzi, di recente sono stati tutti rieditati).  Ma un omicidio vero e proprio non c’è, se non un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1928, in quella che è stata definita la “strage in piazzale Giulio Cesare” a Milano. Re Vittorio Emanuele III doveva inaugurare la fiera campionaria, una bomba scoppiò lasciando sul campo più di un innocente. Siamo in epoca fascista, quella dell’ordine e dei treni in orario, quella che non ammette oppositori, quella che guarda al calcio quale strumento al servizio del regime.  E qui compare l’

“Il resto della settimana”, De Giovanni

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“La Napoli del calcio”, Romagna Gazzette novembre 2018 Per capire cosa rappresenti il calcio per Napoli ci sono due modi. Avere la fortuna di avere un amico tifoso che ti accompagni al San Paolo (si può andare anche da soli, ma non è la stessa cosa). E se questa fortuna non è di tutti, passare al piano B: leggere il libro di Maurizio De Giovanni “ Il resto della settimana ” (Rizzoli). Uno dirà che sto esagerando. E invece proprio no, non la sto sparando grossa. Lo dico per esperienza personale, ritrovatomi nei distinti del San Paolo abbracciato da uno sconosciuto che stava piangendo per il secondo gol del Napoli al Cesena. Per la cronaca la squadra era in serie B, gli spettatori erano oltre 40 mila!  Andare nella città partenopea è immergersi in un mondo speciale dove c’è poco da stupirsi nel vedere le immagini di San Gennaro al fianco di Lui (attenzione a nominarlo) nelle case di tutti. Un mondo che racconta il bellissimo libro scritto da uno dei giallisti più celebri d’I

"Se non c'ero io", Biscardi

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"Il Biscardismo", Romagna Gazzette ottobre 2018 Se è vero che la Scienza in Cucina dell’Artusi ha fatto di più dei Promessi sposi per l’unità d’Italia, sosteneva Piero Camporesi, ancora da studiare è l’influsso del biscardismo sulla lingua italiana. Neppure gli Accademici della Crusca riuscirebbero a dare una risposta definitiva in merito. Indicativa sì, risolutiva no. Troppo devastante è stato l’impatto di quella chioma rossastra, che ha trasferito la chiacchiera da Bar Sport nel domicilio dei tifosi.  Biscardi è stato come quei filmetti con Alvaro Vitali ed Edwige Fenech, sbertucciati dalla critica, ma amati da milioni di spettatori, che li hanno assurti a romanzo di formazione. Una coscia, una tetta, una battuta volgare attirano: il Processo ha portato la pornografia del linguaggio dentro il pallone. Tra i suoi cult la celebrità rimane questa: “la sequenza filmata della pornostar che si è esibita nuda allo stadio di Piacenza non è pronta. Gli operatori la stan