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Che bello Bordelli

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Confesso di avere un debole per Franco Bordelli, il commissario nato dalla penna di Marco Vichi. La scintilla è scoccata sin dal primo romanzo, “ Il commissario Bordelli ”, letto casualmente una quindicina d’anni fa. Da allora non ho fatto altro che proseguire di volume in volume senza una logica apparente. L’ultimo è di queste festività natalizie, “ L’anno dei misteri ”, letto in ebook e ambientato nel 1969. In un genere poliziesco contrassegnato dall’ hard boiled , fatto di duri e violenza spesso tendente al pulp, Vichi ha scelto la strada più soft, giocando sulla psicologia del protagonista nel contesto di una Firenze anni ’60 tra ricostruzione, proteste giovanili ed eventi cronaca (l’esondazione dell’Arno la più eclatante). Bordelli è un personaggio della strada che fa una chiara scelta a favore degli svantaggiati. Per amici ha una ex prostituta sua confidente e suo rifugio, senza rapporti intimi. Un ex scassinatore (Ennio) a cui chiede favori per indagini di polizia. Un genial

Un’ultima stagione da esordienti, Cavina

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Ho riletto con molto piacere il libro di Cristiano Cavina , “ Un’ultima stagione da esordienti ” (Marcos Y Marcos). In un momento come questo penso sia un toccasana per chi ama il calcio. Al di là degli interessi economici che muove, il calcio è soprattutto partecipazione condivisa, un’emozione che oggi pare venire a meno (almeno per me) per la desolazione degli stadi vuoti unita al quotidiano degli obitori pieni. La storia raccontata da Cavina è come un ritorno alle origini del pallone. Ai campetti fai da te, alle storie di paese con personaggi caratteristici che affollavano lo stadio nel fine settimana. La partita del sabato era un rito collettivo che univa la comunità, anche se in campo scendevano dei ragazzini. I tremila abitanti di Casola Valsenio vedevano nelle sorti della squadra un momento di identificazione di gruppo in paesi dove ci si conosceva tutti e le alternative erano poche. Nell’Italia della boria degli anni ’80 del terziario avanzato, c’erano ancora queste sacche di

L’ultimo rigore di Faruk, Riva

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L’ultimo rigore della Jugoslavia, Romagna Gazzette dicembre 2020  Racconta l’autore che incontrando per caso su un aereo Diego Maradona e avvicinato per una intervista, il calciatore gli rispose: “Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”. Fortuna ha voluto che Gigi Riva - non “rombo di tuono” ma il giornalista adottato da Santarcangelo di Romagna - abbia disatteso il consiglio del campione e scritto un libro che non solo merita di essere letto ma di finire bene in vista nella propria libreria personale. “ L’ultimo rigore di Faruk ” (Sellerio editore) è decisamente un volume da annoverare tra i più belli degli ultimi tempi, un po’ perché è scritto come un romanzo, un po’ perché mette insieme due tematiche affrontate sì da tanti ma da un’angolazione diversa: calcio e geopolitica. In genere quando i due temi vengono affiancati si parla di dittature, di regimi dispotici che utilizzano lo sport quale leva di propaganda, dai regimi fascisti primi a farlo,

Giovanissimi, Forgione

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Sono pochi gli squarci di luce nel mare in tempesta dipinto da Alessio Forgione nel romanzo “ Giovanissimi ” (Enne Enne editore, 2020). L’età dei 14 anni è un viatico per tutti, un crocevia che può prendere le direzioni più diverse: autostrade piane come un tavolo da bigliardo per traguardi di sicuro avvenire, o asfalti irti di buche come il caso della storia al centro del racconto. Si svolge in un quartiere di Napoli, Soccavo, protagonista è Marocco (è il suo soprannome, Pane lo chiamano solo gli insegnanti a scuola), uno che col pallone ci sa fare, coinvolto però in un gioco più grande di lui: le difficoltà della vita. Che nel suo caso hanno il volto della madre che a un certo punto se ne va di casa dopo l’ennesimo litigio col padre e non dà più riferimenti all’adolescente. È l’inizio di un tunnel che si fa sempre più buio: la scuola frequentata come se non ci fosse, il rapporto col babbo fatto di silenzi e risolto in schiaffoni, il gruppo di amici che a volte degenera nell’illegali

Tutte le strade portano a Genova, Di Tillo

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 "Omicidi nella Geova calcistica", Romagna Gazzette novembre 2020  Tre persone uccise da un'unica mano che lascia un segno inconfondibile, un orsacchiotto con indosso la maglia di alcune squadre di calcio: Genoa e Sampdoria, in perfetta par condicio , nel caso di due donne ucraine; la più sconosciuta dell’Odessa nel cadavere trovato in Ucraina. Non è un romanzo sul calcio, quello di Marco Di Tillo “ Tutte le strade portano a Genova ” (Fratelli Frilli editori), il pallone però lo interseca in diverse occasioni. Sarà perché il cuore del racconto è in quella Genova dai vicoli stretti, crocevia di culture e di merci con il suo porto che fece transitare i primi immigrati del pallone ben oltre un secolo fa.  Una città dal doppio volto, intrisa dalla rivalità eterna tra due squadre dal ricco passato, già al centro di un romanzo diversi anni fa con Claudio Paglieri (“ Domenica nera ”) che ben prima delle inchieste svelò il vaso di pandora di calciopoli. In quell’occasione a inda

Conti, Paolo

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"Il gentleman che sbarra la porta”, La Voce 8 marzo 2010 Paolo Conti a tutt’oggi è il portiere della Romagna col maggior numero di presenze in maglia azzurra. Più di Kamikaze Ghezzi, più del recordman Sebastiano Rossi. Rispetto a entrambi, nelle squadre di club, ha vinto molto meno, “colpa” di una Roma dalle annate piuttosto magre e dalle rose da metà classifica. Bearzot l’aveva designato a erede di Zoff nella Nazionale, dopo l’opaca prova del friulano nel mundial argentino. Un infortunio al ginocchio ha spezzato il sogno di Conti, così come l’idillio in terra romana, costretto ad emigrare per altri lidi. Il ricordo che avevo del riccionese era quello delle figurine Panini: fisico asciutto, baffi in bella evidenza. Così era un tempo, così è rimasto oggi. Lo incontro nel suo ufficio a Riccione, sua terra natale. Si occupa di management nell’ambiente calcio. Tracce di pallone però non ne vedo: di coppe, gagliardetti e fotografie nessun segno. Parlata elegante, senza nessuna infles

Gioco pericoloso, Genisi

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“Gioco pericoloso”, Romagna Gazzette ottobre 2020  Città che vai, miti che trovi. A Napoli guai a toccare la triade Maradona-San Gennaro-squadra di calcio. A Bari due totem su tre hanno il comune denominatore (calcio e santo), l’unica variabile è la terza di carattere gastronomico: San Nicola-cozze crude-squadra di calcio. Il mondo in cui viviamo sarà pur sempre più tecnologico e virtuale, eppure tradizioni e storia non si cancellano con un click e per fortuna rimangono punti fermi per le generazioni che si succedono. Sono i “punti cardinali” che racconta Gabriella Genisi nel romanzo “ Gioco Pericoloso ” edito da Feltrinelli. Protagonista è il commissario Lolita Lobosco, una donna che piace per le forme generose (viene paragonata alla Ferilli) insieme a tanto sale in zucca, tanto da doversi districare su un terreno a lei poco congeniale: il calcio. Tutto nasce dalla morte a bordo campo di Domenico Scatucci, capitano del Bari, apparentemente dovuta a cause naturali. Il successivo d

Pecci, Eraldo

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  “Grande calcio giocato di testa”, La Voce di Romagna 5 ottobre 2009   ROMAGNA – Ha giocato con Savoldi e Bulgarelli, Pulici e Graziani, Antonioni e Bertoni, Giordano e Maradona. Basterebbe questo semplice elenco per sottolineare la carriera di Eraldo Pecci . Romagnolissimo nella parlata e nel DNA (è nato a San Giovanni in Marignano), così definito dal Dizionario del calcio italiano (Baldini & Castoldi) curato da Marco Sappino: “sul campo e nella vita, è il cervello il suo muscolo più sviluppato”. Gli leggo la frase, rimane un po’ stupito, e come al solito ci scherza su: “Si vede che quell’autore non mi ha conosciuto bene”. Sarà una delle tante battute, brillante modo di raccontare e sdrammatizzare il calcio, stile che lo ha reso celebre in tv al fianco di Bruno Pizzul. Quando ha capito che avrebbe fatto il calciatore? “Sin da piccolo. Già quando collezionavo figurine la mia mente volava verso i campi sportivi”. I primi calci al pallone? “A Cattolica con la maglia del S

Miss Marx

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Merita di essere visto Miss Marx per la regia di Susanna Nicchiarelli, presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia. In sala all’Uci eravamo solo in 7, ma questo conta poco ai fini della qualità della pellicola. Conta più constatare come Karl Marx finito nel dimenticatoio, travolto nel fallimento dei regimi comunisti, stia riscuotendo un certo interesse nel cinema, come nel caso de “Il giovane Marx” uscito nel 2017. A cui si aggiunge il capitolo dedicato alla figlia Eleanor. La bellezza della pellicola sta nel miscelare sapientemente l’aspetto pubblico di Tussy (il suo appellativo) insieme a quello privato. Terza figlia dell’economista, a dispetto delle altre sorelle, porta avanti le battaglie socialiste del padre in una Inghilterra nel pieno della crescita industriale con relative ingiustizie sociali. Curiosa e appassionata, fece parlare un suo viaggio negli Stati Uniti a cui seguì un pamphlet sulla condizione degli operai. Di Eleanor si ricordano in particolare le campagne

Non c'è gusto, Mura

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  " In ricordo di Gianni Mura ", Romagna Gazzette settembre 2020 Si è spesso detto che non c’è gusto a essere intelligenti in Italia. Oppure che non c’è gusto a giocare contro una squadra di brocchi. Ma se davanti hai una persona intelligente e per di più anche fuoriclasse il gusto c’è tutto ed è anche stellato. Gianni Mura è stato entrambe le cose, personaggio snob con la volontà di essere popolare (la frase è di Mario Sconcerti). La penna sportiva di Repubblica , che ha vergato pagine di calcio e ciclismo ci ha lasciati nel marzo scorso, noi lo ricordiamo con un libro che raccoglie l’altra sua grande passione: la cucina.  Detto per inciso, la cucina per come la intendeva lui era tutt’altro che qualcosa di adatto agli stili di vita degli sportivi, basti pensare alle sue passioni, salumi, formaggi, uova, pane bianco e vino, insomma prodotti non proprio wellness. D’altronde è sempre stato in buona compagnia, un altro grande come Gianni Brera, suo maestro, aveva il mito delle p

I milanesi perbene di Scerbanenco ammazzano il sabato

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Dopo la rosticceria ( vedi post precedente ) avevo bisogno di tornare a gustare qualcosa di buono che mi riconciliasse con il gusto della lettura. Per le mani non poteva capitarmi di meglio se non Giorgio Scerbanenco con il classico “ I milanesi ammazzano al sabato ”. Il contesto è la Milano abbietta dalla prostituzione, dei pappa che non si fanno scrupoli nello sfruttare deboli di qualsivoglia categoria, persino malati di mente pur di fare soldi. La città è il motore dell’Italia del boom economico anni ’60. Scerbanenco scava laddove lo sfavillio non c’è, nel punto ove il benessere arriva solo per lontani echi. “La civiltà di massa ha questo pregio, che ciascuno può annegare liberamente senza che gli altri gli diano fastidio nel tentativo di salvarlo”. È una città che lavora, sempre all’opera, talmente indaffarata da regolare i conti personali con il malaffare il sabato perché gli altri giorni non può permettersi di staccare dall’ufficio. Le brave persone durante la settimana fanno

Se il commissario è un intrattenitore

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Da sempre la letteratura, o presunta tale, ha annoverato filoni dedicati all’intrattenimento. Storie fini a sé stesse, fatte di sola trama, per tenere vivo il filo di un discorso dalla facile dipanatura. La semplicità di queste storie in genere sta nell’assenza di indagine psicologica dei personaggi e in un dipinto ambientale pari allo zero. È pura storia e basta. Per altri ingredienti passare più tardi, se si trova aperto. In questo genere vanno annoverato numerosi gialli, o polizieschi che si dica: racconti di fatti, spesso senza un nesso apparente e invece concatenati secondo una strana logica delinquenziale. Tra questi vanno inquadrati i romanzi della prolifica Maria Masella . In questi giorni mi è capitato di leggere “ Matematiche certezze ” (Fratelli Frilli editori), scritto a quattro mani insieme a Rocco Ballacchino. La doppia firma sta nell’ambivalenza della ambientazione della storia, tra Genova e Torino. Nella città marinara indaga Antonio Mariani (Masella), in quella sab

Processo ai Vitelloni, secondo me finisce così…

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Sono curioso di vedere come andrà a finire. I processi li ho seguiti tutti, alcuni erano dall’esito prevedibile, altri un po’ meno. Quello di lunedì, parere personale, è tra i più incerti che ci siano. Se in platea ci sarà un parterre femminile, il risultato sarà per la condanna piena. Se fosse maschile la questione si farebbe più incerta. Tenuto conto che i posti sono la metà degli altri anni, determinante sarà chi si siede e avrà la paletta in mano. Solo due mesi fa quando Miro aveva annunciato il tema non avevo dubbi su come sarebbe andata a finire. A farmi cambiare idea sono stati alcuni articoli usciti sulla stampa a difesa dei Vitelloni. Il più clamoroso è quello di Pupi Avati sul Corriere della Sera, con tanto di richiamo in prima. A seguire quello di Steve Della Casa sul Corriere Romagna. Avati l’ha messa sulla giovinezza spensierata, sulla cultura del tempo che ti imponeva di essere maschio con leggerezza. Della Casa ha fatto un’analisi del film di Fellini con quei Vitello

Bravo Marescotti su Lello

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Ma quanto è bravo Marescotti. Ancora più bravo in un incontro dalle premesse impari, davanti a un gigante come Lello Baldini. L’attore di Bagnacavallo furbescamente all’inizio dello spettacolo ha messo le mani avanti: “Baldini è uno dei migliori lettori al mondo, confrontarsi con lui è perdere in partenza”. Giusto. Solo che se hai i numeri il confronto lo reggi. E succede come l’altra sera a Cesenatico al Largo Cappuccini (rassegna di Casa Moretti) dove te ne stai due ore ad ascoltarlo e non te ne accorgi. Potevano passare altre due ore e pochi o nessuno avrebbe sbadigliato. Sono diversi gli ingredienti del successo in serate come quelle. Un po’ sono i testi di Lello. Per il 90% strappano il sorriso, ma nel senso pirandelliano del termine: hanno un doppio fondo, fanno riflettere, il tragico non manca. Baldini non ha avuto solo il grande merito di avere nobilitato il dialetto romagnolo in senso culturale, ma lo ha fatto raccontando fatti del quotidiano, frammenti di vita che solo un p

Adalgisa, la lady di ferro

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Ci sono personaggi letterari che finiscono per prevalere sui loro autori. Il nome del protagonista delle pagine finisce per oscurare chi lo ha inventato. È il caso di Adalgisa Calligaris l’ispettore nato dalla fantasia della brava  Alessandra Carnevali . Mi sono letto d’un colpo i primi tre libri della serie, tutti targati Newton Compton: Lo Strano caso del commissario Calligaris , Omicidio a Villa Rovelli , Il giallo di Palazzo Corsetti . Devo dire che me li sono bevuti a fiatello, come non si dovrebbe fare quando si ha un vino che piace. L’ambientazione è in Umbria nel paesino di Rivorosso. Il commissario è la classica sfigata degli anni giovanili (grassa, bassa, secchiona), divenuta una “leonessa” grazie a una forza di volontà e una tenacia non comuni, che l’hanno vista scalare posizioni nella polizia. Adalgisa è acida, poco incline allo scherzo, pronta alla battuta tranchant, parla poco di sé, ma ha un muscolo sempre in funzione: il cervello. È il classico personaggio che rive