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Ah! Il Mundial, Soldati

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Il Mondiale di Soldati, Romagna Gazzette aprile 2021  Che cos’è l’identità nazionale si sono chieste generazioni di persone. È quella terra dove vivi, respiri, mangi e condividi. Quattro parole che non bastano a raccontare quel macro cosmo di sentimenti di un popolo. C’è un libro che meglio di tutti racconta cosa sia lo spirito nazionale. La firma in calce è di quelle pesanti, Mario Soldati . “ Ah! Il Mundial ” (Sellerio editore) è un libretto di 150 pagine che raccoglie un mese di corrispondenze dal Mondiale di Spagna, quello di “Paolorossi” in tutti gli angoli del pianeta. Soldati è un personaggio affermato, nel cinema e nella letteratura è una istituzione, il direttore del Corriere della Sera gli chiede di raccontare l’evento sportivo da inviato. Ha 76 anni, è la prima volta che lo fa, per di più in una terra che gli è antipatica per il recente passato franchista. La cronaca è quotidiana e segue passo dopo passo le vicende di una squadra partita con prestazioni da bettola di quart

Spimi, Vittorio

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"Perchè oggi non allena?", La Voce 20 settembre 2010 A Cesena, chi ha buona memoria, ricorda ancora le sue asfissianti marcature sui centravanti, e quella storica promozione in serie B, stagione 1967/68, che porta anche la sua firma. Ma è soprattutto nei sette anni a Bari che la sua carriera ha preso il volo: esordio in serie A, fascia di capitano e ancora oggi tra i primi dieci per numero di presenze con la maglia dei pugliesi. Non pago, smessi i calzoncini, ha deciso di indossare tuta e fischietto guidando quasi tutte le panchine della Romagna e dintorni. Vittorio Spimi, 67 anni all’anagrafe ben portati, più che vivere di ricordi, si sente come un professore messo forzatamente in pensione, desideroso di trasmettere il suo sapere ai giovani d’oggi. E soprattutto il suo bagaglio di esperienza al servizio di un mondo dirigenziale col quale ha avuto più d’un conflitto. Ci incontriamo in un bar a Rimini, e ne vien fuori una piacevole conversazione che scorre via tranquilla tra

Ridicol calcio, Calzaretta e Cavani

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"Quando il calcio è ridicol", Romagna Gazzette marzo 2021 Il calcio è una cosa seria, si è sempre detto. Uno sport, certo, anche se il business ormai la fa da padrone. In questo contesto una sana risata può essere un toccasana per sdrammatizzare tensioni, polemiche e contestazioni. Il libro curato da Marco Cavani e Nicola Calzaretta , “ Ridicol calcio ” (Mondadori, pp. 160, euro 9), va in questa direzione. Il libretto è di alcuni anni (si trova ancora nelle piattaforme on line), racconta gaffe, gag e in parte conferma quel senso comune del calciatore ricco e un poco ignorante, nel senso etimologico del termine. Un mondo che non risparmia neppure campioni di casa nostra, soprattutto quelli dal cognome un poco imbarazzante. Come nel caso di Pompini, attaccante di C che ha indossato anche la maglia del Rimini. Protagonista di quattro reti in un match, la sua performance viene ripagata sul giornale col titolo “Pompini a raffica: Mirandola ko”. La settimana successiva Pompini no

Omar Sivori, Bosco

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"Sivori, l’angelo con la faccia sporca", Romagna Gazzette febbraio 2021  Ci sono personaggi del calcio che non hai mai visto giocare. Li hai però talmente incrociati nelle testimonianze e nelle letture che ti pare averli visti in campo. Sono gli immortali, quelli che hanno fatto la storia, come Omar Sivori, uno dei campioni più politicamente scorretti che questo sport abbia prodotto. Tunnel in abbondanza in segno di sberleffo, guancia sempre ricambiata alla prima provocazione, ego smisurato al pari della classe. Alla prima conferenza stampa sbarcato nel Belpaese così si presentò: “Finalmente anche in Italia si giocherà il vero calcio e io ne sarò il messia”. Lui arrivava da un’Argentina con zero tituli, l’Italia in bacheca ne aveva già due di Mondiali, così giusto per dire. A 85 anni dalla nascita e 15 dalla sua morte, Andrea Bosco gli ha dedicato il libro “ Omar Sivori. L’angelo con la faccia sporca ” (Minerva editore, 2020). Il suo è un atto d’amore al calciatore che l

Scala, Augusto

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L'anarchico del pallone”, La Voce di Romagna 19 luglio 2010   Augusto Scala sta al calcio italiano come Jean Marc Bosmann sta a quello europeo. Non sembri azzardato questo paragone. Prima di Scala il calciatore era una specie di pacco postale che le società potevano spedire a qualsiasi destinazione, senza il minimo consenso del giocatore. Finché un giorno il poco più che ventenne di San Piero in Bagno non esclamò un celebre “no” al suo Bologna: gli avevano promesso che sarebbe rimasto sotto le due Torri e invece lo avevano venduto sottobanco all'Avellino. Era il 1973, Scala viene messo fuori rosa, il mondo del pallone si mobilita in suo aiuto, arriva il primo sciopero dei calciatori. Risultato: l'Aic (Associazione calciatori) ottiene la firma contestuale (società-calciatori) per la cessione. Tutto questo grazie all'anarchico del pallone per antonomasia. Barba e capelli sempre lunghi, modello George Best, insofferente a ritiri e regole. Dalla sua aveva piedi vellutati

Tanti dubbi sul docufilm di Mauro

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Ho visto il docufilm di Ezio Mauro , La dannazione della sinistra-Cronache di una scissione , e devo dire di essere alquanto perplesso. Bene il materiale d’archivio e la narrazione nei luoghi dell’evento. Quello che difetta sono le voci interpellate: i politici. Passi Massimo D’Alema politico di lungo corso del Pci, Luciana Castellina ed Emanuele Macaluso autorevoli comunisti del tempo, e Achille Occhetto ultimo segretario. Ma gli altri cosa centrano? La presenza di Vendola pare quasi fantozziana, quella di Bertinotti fa ancora più sorridere vedendo i danni che ha fatto a sinistra. E ancora Martelli, Intini, Bersani: mi chiedo il senso di tutto questo. Capisco la difficoltà nel raccontare un fatto storico epocale in assenza dei protagonisti viventi, ma l’avere inserito chi la politica l’ha fatta in tempi totalmente diversi è come se la Rivoluzione francese la facessimo commentare a Macron o gli Uffizi a Renzi (ops…). Quello che manca nella narrazione di Mauro sono le voci degli s

Se il calcio è un giallo

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Se metti insieme due sottogeneri la somma dà un genere unico? In matematica sì, in letteratura la questione è più complessa. Molto più complessa. Soprattutto se i generi in questione un tempo erano di “bassa fascia” mentre oggi sono saliti di rango. Per farla breve, parlo del giallo/poliziesco e del calcio. Fino agli anni ’70 erano considerati di serie B, un po’ per lo snobismo generale di quegli anni nei quali tutto era politica, un po’ perché richiamavano masse di persone e come si sa il mondo intellettuale ha sempre guardato con sospetto la cultura dei grandi numeri, manco fossimo sempre a un supermercato. Due esempi: Scerbanenco non era certo in testa nelle letture dei critici letterari del tempo fino a quando non lo sdoganò Oreste del Buono; La Repubblica quando uscì verso la metà degli anni ’70 non contemplava le pagine dello sport. Questo per dire di una quarantina di anni fa, quando le cose andavano così. Oggi il panorama è completamente mutato tanto che non ci si stupisce n

Da Sivori a Cristiano Ronaldo, com’è cambiato il calcio

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“ Da Sivori a Cristiano Ronaldo, com’è cambiato il calcio”, Corriere Romagna 5 gennaio 2021   San Mauro Pascoli – 85 anni dalla nascita, 15 dalla morte. Il giocatore è uno dei giocatori più forti della storia del calcio: Omar Sivori. Compagno per 8 stagioni di Gino Stacchini alla Juventus (dal 1957 al 1965), il sammaurese l’ha ricordato scrivendo la postafazione del libro di Andrea Bosco “ Omar Sivori, l’angelo dalla faccia sporca ” (Minerva editore). Tre gli scudetti vinti insieme con la maglia bianconera, “nessuno era in grado di fare con la palla ciò che riusciva Sivori”, scrive Gino. L’intervista è anche l’occasione per raccontare come è cambiato il calcio d’oggi e lo stato di salute di quello romagnolo. Gino, Bosco nel libro scrive che lei era uno dei pupilli di Sivori. Conferma? “Sotto il profilo calcistico sì. Lui amava giocare palla bassa, esaltava la tecnica, come attaccante gli piacevano le alchimie. Sivori non amava la palla alta, anche per via dei suoi centimetri. Io

Pari, Fausto

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“Tutte le coppe di Birula”, La Voce di Romagna 21 settembre 2009 Da tempo abita in Emilia, Parma per la precisione, il suo Dna però è tutto romagnolo. Malgrado una recente enciclopedia promossa da un quotidiano locale non l’abbia inserito tra gli 82 sportivi di rilevo del nostro territorio, Fausto Pari rimane uno degli uomini di punta del calcio “made in Romagna”. C’era anche lui nella Sampdoria di “papà” Mantovani – tutti lo consideravano più un padre anziché un presidente – ultima provinciale a vincere uno scudetto (1990/91), con coppe e trofei mai più visti in quel di Genova. Difficile dimenticare quegli anni, impossibile scordare quei nomi che in maglia blucerchiata hanno fatto la storia del calcio: Vialli, Mancini, Pagliuca, Vierchowod, Mannini, Cerezo…e appunto anche il bellariese purosangue (vi è nato 47 anni fa). In pochi forse avrebbero scommesso su una carriera così brillante, soprattutto dopo che l’Inter lo girò al Parma in terza serie, in quegli anni lontano dai momenti

Che bello Bordelli

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Confesso di avere un debole per Franco Bordelli, il commissario nato dalla penna di Marco Vichi. La scintilla è scoccata sin dal primo romanzo, “ Il commissario Bordelli ”, letto casualmente una quindicina d’anni fa. Da allora non ho fatto altro che proseguire di volume in volume senza una logica apparente. L’ultimo è di queste festività natalizie, “ L’anno dei misteri ”, letto in ebook e ambientato nel 1969. In un genere poliziesco contrassegnato dall’ hard boiled , fatto di duri e violenza spesso tendente al pulp, Vichi ha scelto la strada più soft, giocando sulla psicologia del protagonista nel contesto di una Firenze anni ’60 tra ricostruzione, proteste giovanili ed eventi cronaca (l’esondazione dell’Arno la più eclatante). Bordelli è un personaggio della strada che fa una chiara scelta a favore degli svantaggiati. Per amici ha una ex prostituta sua confidente e suo rifugio, senza rapporti intimi. Un ex scassinatore (Ennio) a cui chiede favori per indagini di polizia. Un genial

Un’ultima stagione da esordienti, Cavina

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Ho riletto con molto piacere il libro di Cristiano Cavina , “ Un’ultima stagione da esordienti ” (Marcos Y Marcos). In un momento come questo penso sia un toccasana per chi ama il calcio. Al di là degli interessi economici che muove, il calcio è soprattutto partecipazione condivisa, un’emozione che oggi pare venire a meno (almeno per me) per la desolazione degli stadi vuoti unita al quotidiano degli obitori pieni. La storia raccontata da Cavina è come un ritorno alle origini del pallone. Ai campetti fai da te, alle storie di paese con personaggi caratteristici che affollavano lo stadio nel fine settimana. La partita del sabato era un rito collettivo che univa la comunità, anche se in campo scendevano dei ragazzini. I tremila abitanti di Casola Valsenio vedevano nelle sorti della squadra un momento di identificazione di gruppo in paesi dove ci si conosceva tutti e le alternative erano poche. Nell’Italia della boria degli anni ’80 del terziario avanzato, c’erano ancora queste sacche di

L’ultimo rigore di Faruk, Riva

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L’ultimo rigore della Jugoslavia, Romagna Gazzette dicembre 2020  Racconta l’autore che incontrando per caso su un aereo Diego Maradona e avvicinato per una intervista, il calciatore gli rispose: “Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”. Fortuna ha voluto che Gigi Riva - non “rombo di tuono” ma il giornalista adottato da Santarcangelo di Romagna - abbia disatteso il consiglio del campione e scritto un libro che non solo merita di essere letto ma di finire bene in vista nella propria libreria personale. “ L’ultimo rigore di Faruk ” (Sellerio editore) è decisamente un volume da annoverare tra i più belli degli ultimi tempi, un po’ perché è scritto come un romanzo, un po’ perché mette insieme due tematiche affrontate sì da tanti ma da un’angolazione diversa: calcio e geopolitica. In genere quando i due temi vengono affiancati si parla di dittature, di regimi dispotici che utilizzano lo sport quale leva di propaganda, dai regimi fascisti primi a farlo,

Giovanissimi, Forgione

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Sono pochi gli squarci di luce nel mare in tempesta dipinto da Alessio Forgione nel romanzo “ Giovanissimi ” (Enne Enne editore, 2020). L’età dei 14 anni è un viatico per tutti, un crocevia che può prendere le direzioni più diverse: autostrade piane come un tavolo da bigliardo per traguardi di sicuro avvenire, o asfalti irti di buche come il caso della storia al centro del racconto. Si svolge in un quartiere di Napoli, Soccavo, protagonista è Marocco (è il suo soprannome, Pane lo chiamano solo gli insegnanti a scuola), uno che col pallone ci sa fare, coinvolto però in un gioco più grande di lui: le difficoltà della vita. Che nel suo caso hanno il volto della madre che a un certo punto se ne va di casa dopo l’ennesimo litigio col padre e non dà più riferimenti all’adolescente. È l’inizio di un tunnel che si fa sempre più buio: la scuola frequentata come se non ci fosse, il rapporto col babbo fatto di silenzi e risolto in schiaffoni, il gruppo di amici che a volte degenera nell’illegali

Tutte le strade portano a Genova, Di Tillo

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 "Omicidi nella Geova calcistica", Romagna Gazzette novembre 2020  Tre persone uccise da un'unica mano che lascia un segno inconfondibile, un orsacchiotto con indosso la maglia di alcune squadre di calcio: Genoa e Sampdoria, in perfetta par condicio , nel caso di due donne ucraine; la più sconosciuta dell’Odessa nel cadavere trovato in Ucraina. Non è un romanzo sul calcio, quello di Marco Di Tillo “ Tutte le strade portano a Genova ” (Fratelli Frilli editori), il pallone però lo interseca in diverse occasioni. Sarà perché il cuore del racconto è in quella Genova dai vicoli stretti, crocevia di culture e di merci con il suo porto che fece transitare i primi immigrati del pallone ben oltre un secolo fa.  Una città dal doppio volto, intrisa dalla rivalità eterna tra due squadre dal ricco passato, già al centro di un romanzo diversi anni fa con Claudio Paglieri (“ Domenica nera ”) che ben prima delle inchieste svelò il vaso di pandora di calciopoli. In quell’occasione a inda

Conti, Paolo

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"Il gentleman che sbarra la porta”, La Voce 8 marzo 2010 Paolo Conti a tutt’oggi è il portiere della Romagna col maggior numero di presenze in maglia azzurra. Più di Kamikaze Ghezzi, più del recordman Sebastiano Rossi. Rispetto a entrambi, nelle squadre di club, ha vinto molto meno, “colpa” di una Roma dalle annate piuttosto magre e dalle rose da metà classifica. Bearzot l’aveva designato a erede di Zoff nella Nazionale, dopo l’opaca prova del friulano nel mundial argentino. Un infortunio al ginocchio ha spezzato il sogno di Conti, così come l’idillio in terra romana, costretto ad emigrare per altri lidi. Il ricordo che avevo del riccionese era quello delle figurine Panini: fisico asciutto, baffi in bella evidenza. Così era un tempo, così è rimasto oggi. Lo incontro nel suo ufficio a Riccione, sua terra natale. Si occupa di management nell’ambiente calcio. Tracce di pallone però non ne vedo: di coppe, gagliardetti e fotografie nessun segno. Parlata elegante, senza nessuna infles